la Direttrice, Grazia Calanna, la Redazione e gli Autori che collaborano ricordano Mario Bendetti con un’intervista a cura di Luigi Carotenuto, pubblicata su l’EstroVerso, Rivista n. 4 Settembre – Ottobre 2012, rubrica “Rimirando”
Mario Benedetti nasce a Udine nel 1955, poeta e traduttore, vive e lavora a Milano. Della sua poesia si sono occupati, tra gli altri, Andrea Zanzotto, Maurizio Cucchi, Biancamaria Frabotta, Carlo Carabba, Massimo Gezzi, Maria Grazia Calandrone, Franca Mancinelli, Tommaso Di Dio, Guido Mazzoni, Alberto Casadei, Gian Mario Villalta, Luigia Sorrentino, Claudia Crocco e Maria Borio. Tra le sue ultime opere poetiche ricordiamo: Umana Gloria, (Mondadori Lo Specchio 2004), Pitture nere su carta (Mondadori Lo Specchio 2008), Materiali di un’identità (Transeuropa, Massa, 2010).
Nella sua poesia mi sembra non ci sia un confine ben definito a livello formale, capita che lei passi in maniera disinvolta, naturale, dal verso alla prosa tout court senza un atteggiamento programmatico. Anche il suo ultimo libro (Materiali di un’identità, ed. Transeuropa) appare libero in questo senso. C’è una necessità interiore e estemporanea nell’atto del suo scrivere che esula da un progetto ben definito?
“In verità non possiedo un progetto definito mentre scrivo. Scrivere brevi prose poetiche inserendole in un libro di versi è cosa secolare. Ma tutto avviene a posteriori, quando si organizza, anche editorialmente, un libro”.
Questa sorta di libertà formale che avverto, pur dentro un rigore personale, a mio avviso rende molto originale la sua produzione, lirica anche nelle sue pronunce prosaiche, descrittive; i suoi versi riescono sempre a suggerire qualcosa di indefinito, di altro, un sublime pur dentro la drammaticità cronachistica degli eventi. C’è un dolore che si fa arte, e trova in lei un degno cantore che lo nobilita. E sto pensando a Adorno, secondo cui l’arte è memoria della vita offesa. Si trova concorde su quest’ultima massima e sulle mie impressioni?
“Credo che la libertà formale coincida con il verso libero. Il rigore non può dare vita a un canone anche se mi piacerebbe che così fosse, e credo che piacerebbe a tutti quelli che scrivono. Occorre però trovare una propria forma, che non può essere ovviamente “disinvolta” perché sarebbe priva di ogni misura, totalmente arbitraria e quindi si tratterebbe di una poesia davvero mal riuscita. Non mi sento di discutere la figura di Adorno ma certamente “la vita offesa” è un nucleo tematico per me imprescindibile”.
L’esattezza del nominabile. L’ineffabile della parola. L’aspetto deficitario del linguaggio. La sua ricerca passa per un sofferto dare un nome appropriato agli oggetti, alle emozioni, rendere giustizia alla vita delle cose, degli uomini, al di là di una possibile escatologia?
“Non vedo nessuna escatologia. Mi sto soffermando attualmente sull’aspetto deficitario del linguaggio cercando di evitare la paralisi, l’afasia che è davvero dietro l’angolo”.
Si è laureato in Lettere con una tesi su Carlo Michelstaedter, figura complessa e geniale d’uomo e d’artista. Cosa le ha lasciato l’esperienza legata alla scoperta di questo autore?
“Una cosa: l’inadeguata affermazione di se stessi, la vita come “Rettorica”, l’incapacità di vivere persuasi della finzione che è la vita, e dunque in questa situazione contraddittoria la domanda che viene posta è semplicemente e terribilmente: allora, cosa fare?”.