Matteo Maria Orlando. Mi fa male una donna in tutto il corpo

Mi fa male una donna in tutto il corpo (copertina)

Muove lungo il crinale della lirica erotica questa seconda raccolta di poesie del salentino Matteo Maria Orlando, Mi fa male una donna in tutto il corpo (La Vita Felice, Milano, 2012), titolo ispirato, non a caso, a un verso della poesia È l’amore di Borges, riproposta in epigrafe al libro.

Al centro, l’amore per la donna amata, musa ispiratrice di questo “canzoniere” denso di palpiti, di joie de vivre; tematica, quello dell’eros, tutt’altro che però monocorde se è vero che l’amore, pur svelato nella varietà delle sue declinazioni, diventa occasione, attraverso la voce del poeta innamorato, per cantare la bellezza del mondo, affermare il fascinoso del creato, ammirarlo «con occhi incantati e attenti – come scrive nella bella prefazione Giuseppe Caruso – pronti a cogliere nelle cose, in ogni cosa, significati allusivi». Di qui, il costante riferimento alla natura, che – specchio degli stati d’animo del nostro – si presenta quale locus amoenus, habitat privilegiato dei securi amantes, e come tale ignaro del pianto delle guerre, quale pure si evince nell’accorato invito del poeta a colei, «nera Vergine, sorgiva dei coralli del creato», di condurlo «lì / dove il ventre della terra non trema / il fratello non cade / e il binario non muore».

Un libro d’amore, dunque, i cui motivi sono svolti con padronanza del mezzo espressivo, frutto senz’altro di un’assidua frequentazione della nostra (e non solo) migliore tradizione letteraria, da cui ne viene quel nitore, quell’eleganza del dettato oggi così poco à la mode; numerosi, infatti, i riferimenti scritturali (segnatamente dal Cantico dei Cantici) e classici (dalle letterature greca e latina), pur miscidiati a lasciti di cultura orientale; richiami che, lungi dall’essere sfoggi eruditi, attestano la condivisione del poeta per il macroecumenico-tema dell’amore. Di qui, dunque, il non peregrino riferimento a tanto patrimonio culturale di matrice occidentale e orientale («l’altipiano del Tibet», «la sacralità del Gange»); quest’ultimo, probabile eco del natio e interculturale Salento greco, bizantino, finanche arabo («porte di mdina», «moriscos»). Basta dare un’occhiata al repertorio lessicale, sovente di sostrato aulico («calla», «sorgiva», «Regina»); alla presenza dei superlativi («Altissima, trascini col tuo fascino / il sacro»); all’eleganza di certe immagini del tipo: «porta la luna all’orecchio / e i dischi di Saturno al dito» in cui la metafora non appare mai scontata («Mi dimora / il marmo dei tuoi / altari», «ha il tango nel fiato»); alla rievocazione di episodi storici e dei suoi protagonisti (da Cartagine a Cesare allo schiaffo di Anagni); il tutto calato, prevalentemente, in testi di pochi ma cesellati versi (e versicoli) da cui emerge il potere evocativo della parola.

Infine, non comprenderemmo appieno il libro relegandolo unicamente al tema dell’amore piuttosto che non anche a quello del viaggio; viaggio non già solo geografico – di cui ai frequenti rimandi ai luoghi natali, alla Roma paleocristiana e barocca e alle mitiche esperienze itinerali (il riferimento è d’obbligo, nell’incisiva poesia Isola, all’Ulisse omerico, speculum del poeta attualmente “trapiantato” nella capitale) – bensì pure «esistenziale di Orlando che – fa notare ancora Caruso – come nei migliori romanzi di formazione, attraverso e grazie all’amore, impara a conoscere se stesso e il mondo che lo circonda».

 

 

Potrebbero interessarti

Una risposta

  1. Pingback: jason