cipriano_cover_fronte_alta

Poesia

La poesia di Domenico Cipriano ingaggia una lotta con l’angelo con la sua terra, i ricordi dolenti e un presente ingannevole. Novembre è insieme un requiem intonato a qualcosa che non sarà più e un canto di rinascita coraggioso, ispirato, nel flusso di una scrittura dalla metrica calibratissima (l’autore è anche un raffinato musicista). La sua descrizione del terremoto irpino avvenuto il 23 novembre 1980, non tacita lo stupore bambino (Cipriano aveva dieci anni quando fu testimone di quei disastri, più attenuati nella sua zona di residenza, a Guardia dei Lombardi), l’incanto lirico nonostante tutto: “e c’era una feritoia incancrenita da cui / uscivamo come formiche disorientate: / guardavo i volti tumefatti delle cose / la luna ne illuminava i cumuli grigi”. L’incertezza, la provvisorietà sono restituite in versi aderenti e lucidi, calati nel proprio modo di vedere le cose quei giorni: “le notizie frammentate, le persone conosciute / le visite inaspettate nella stessa notte, i ponti / caduti, le nuove scosse, i falò accesi. il pianto / le grida erano di un altrove sconosciuto”. La casa, solida certezza, da madre diventa matrigna a causa delle scosse: “[…] cercavamo con le auto il rifugio più sicuro / un nuovo accampamento lontano dalle case: / quelle che erano la nostra certezza sul futuro / divennero minaccia”. Il trauma del terremoto “riprodotto” nell’esatto ordine numerico della struttura compositiva riversa forse il segreto desiderio dell’autore di capovolgere, ricomporre riordinando quanto è stato destabilizzato? Falò, fuochi e fumo (pp.14-15-16-21) fanno da riflettori per questo poema confitto “nel clamore / tragico dell’esistenza”, nella struggente consapevolezza che “le crepe non sono nella terra”.       

Potrebbero interessarti

5 risposte

  1. Pingback: philip
  2. Pingback: scott
  3. Pingback: eddie
  4. Pingback: Lloyd
  5. Pingback: Austin