Poesia
Albe sbiadite, pigre folate di vento, stanchi andamenti del paesaggio mimano il passo indolente della poesia di Attilio Lolini, che, come uno stanco giocatore osserva senza alcun velo di illusione se stesso e il mondo: “Chi non si siede davanti / al palcoscenico / della propria vita // alla recita / ammutolita // che penosamente / balbettammo / da una scena all’altra”. Cadute le “maschere / malate di ruggine”, “carichi del peso / di cose senza nome” dove “il tempo ci smembra come un coltello affilato”, anche le parole perdono ogni senso di autenticità se scritte, vanno affidate al vento infatti: “Non scriverle / se le porti il vento // nel secchio magico / del non detto // come insetti / diventati farfalle”. Lolini offre tutto il suo narcisismo fustigato, il masochismo nichilista è il suo cilicio. Questo senso di vacuità di cui è pervasa l’intera raccolta incontra e sposa la saggezza dell’Ecclesiaste, dal quale ripropone sue versioni poetiche di tre brani esemplari: Nulla vale sotto il sole, Mangia e bevi, Ballata macabra. Anche gli altri autori scelti nell’ultima sezione, Imitazione, si prestano alle corde del Lolini, alla sua sonnambula veglia, sonnolento tener conto di quanto tutto si sgretola, nulla risparmiando: “la rivoluzione non era / dietro l’angolo // vanno distrutte / anche le rovine”, scrive a pagina 33. Le sezioni-insegne del libro raccontano il monopolio globalizzato della cultura, di “un mondo implume”: “i gabbiani gridano / sui terrapieni / delle discariche / con il becco ostentando / carte da sandwich”; scenari poetici scialbi, dimessi come l’io che li narra, così nella magrittiana L’acqua: “siamo in un retroscena / in uno spazio dissolto // forse volato / o sepolto”.
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