Pierluigi è bello. È sottile, ha una barbetta leggera e bruna, ha occhi fenici che ti seguono, il sorriso di chi vuol bene. Pierluigi ride, con una risata tranquilla e che avvicina. Ride spesso. Pier vive in una casa di legno, dietro ha le montagne, davanti la vallata e poi ancora montagne. Al mattino attende che vengano i ragazzi. Lui li chiama così. Lo lavano, gli danno la prima colazione, lo rigirano, curano le piaghe che purtroppo ha. Poi sta seduto sulla sua sedia. E guida, non a lungo ma guida. Ha tanti amici. Non può non essere così. Vive da solo, ha una badante. La domenica va dai suoi parenti a pranzo. Non possiede quasi niente. La sua mamma non c’è più, è mancata da poco e oggi lui soffre tantissimo. La sua mamma rispondeva al telefono e mi diceva che da bambino aveva voluto sempre e sempre scrivere. Ma sta anche a letto a lungo. E allora ha poca voglia di parlare al telefono, così come ne ha poca per il computer. Anni fa, quando l’ho conosciuto e le telefonate erano più continue, e aveva vinto il premio Montale, mi diceva che venivano a rubargli i suoi scritti nei cassetti, che tutti volevano qualcosa di suo. Mi diede il consiglio migliore: mi disse di mandare le mie poesie alle riviste, che solo così sarei stata riconosciuta. E l’ho seguito. E lui adesso me lo ricorda ogni qualvolta gli racconto di me. Ho il suo libro “Assetto di volo” che ora mi dicono introvabile. In un natale lontano gli ho inviato dei dolci nostri, mi telefonò dicendomi di sentirsi inondato. Felicissimo. Ogni qual volta iniziava a mangiarne una qualità diversa mi faceva un messaggio per dirmi come si sentiva dopo avere assaggiato. Negli ultimi anni ci siamo sentiti meno, lui indaffarato e preso dalla sua salute. Desideroso di tranquillità, di studio, di scrittura diversa non sempre poetica, di viaggi vicini da affrontare con difficoltà. Anche il ritiro dei premi è per lui una fatica. Ma poi parla ed è un piacere per tutti. Pier oggi è più solo ma poi scriverà di questo lutto che non doveva capitargli, lui non doveva soffrire. La sua casa dalla veranda sulla vallata resterà ancora più desolata. Chiede della mia salute, io mi vergogno, lui mi dice che alla fine sta meglio di me, ma non è vero. Era ragazzo quando tutto successe per un incidente, ora scrive. Ma avrebbe scritto in ogni caso, diceva la sua mamma ancora giovane. La settimana scorsa gli ho parlato, voleva stare in silenzio. Le parole trattenute, il lutto troppo vicino e il futuro tutto da immaginare. Un giorno mi disse: se resta ancora Berlusconi, Letizia cara vado a vivere sulle montagne. Ridemmo. Lui ci sta già.
(testo scritto nel Febbraio 2013)
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Lascio la camera com’era quando era nei tuoi occhi,
incontrarti è il sapore che trattengo nel sorso di caffè.
Tra il piacere e quel che resta del piacere
il mio corpo sta come un posto dove si piange
perché non c’è nessuno.
Un giorno settembre era limpido e ventoso
il silenzio ammutoliva, la terra tornava al cielo.
Pierluigi Cappello
(tratta dal libro “Mandate a dire all’imperatore”, Crocetti Editore, 2010)