Il termine “elegia”, derivante dal greco élegos (cioè il distico elegiaco, costituito da esametro e pentametro dattilico), probabilmente desunto da una parola frigia che designava il flauto che accompagnava la recitazione dei componimenti poetici, indicava in origine un genere poetico impiegato in diverse occasioni della vita pubblica e privata, dalla celebrazione di momenti di carattere guerresco o esortatorio ad altri di natura politica o funebre, come per esempio in Antimaco di Colofone. Anzi, proprio l’opera di quest’ultimo, la Lide, il cui titolo pare ispirarsi al nome della donna amata, defunta, costituisce un passaggio fondamentale nell’evoluzione del genere, che trova piena espressione poi nella poesia di Mimnermo. Successivamente, la letteratura latina eredita diversi tratti del genere elegiaco, che raggiunge il suo acme con poeti come Ovidio, Properzio e Tibullo: per Friedrich Leo l’elegia latina differirebbe da quella greca per la maggiore attenzione rivolta all’io e ai suoi dissidi interiori; al contrario, Felix Jacoby ritiene l’elegia latina uno sviluppo ulteriore dell’epigramma greco. E tuttavia, molti sono i poeti che hanno cantato l’amore come elemento propulsore del desiderio e altrettanti quelli che ne hanno riconosciuto la difficoltà a cantarlo in versi, come Umberto Saba, il quale, nel Canzoniere, così recita:
Amai trite parole che non uno
osava. M’incantò la rima fiore
amore,
la più antica, difficile del mondo
Amai la verità che giace al fondo,
quasi un sogno obliato, che il dolore
riscopre amica. Con paura il cuore
le si accosta, che più non l’abbandona.
Amo te che mi ascolti e la mia buona
carta lasciata al fine del mio gioco.
(da Mediterranee, 1946)
Ora, per i tipi di Crocetti è di recente uscito un volume antologico delle poesie di Carol Ann Duffy, poetessa inglese tra le più apprezzate nel Regno Unito. In particolare, “Poesie d’amore”, con curatela e traduzione di Floriana Marinzuli e Bernardino Nera, si propone come una selezione dell’ampia produzione della poetessa, la quale, come ricordato dai due curatori, ha dichiarato come il genere della poesia amorosa risulti ancora oggi fra i più difficili da trattare:
“Dire qualcosa che è stato detto in precedenza rende la poesia d’amore uno dei generi letterari più difficili ed eccitanti da comporre”.
Interessante diviene dunque interrogarsi sulle ragioni per le quali “osare” uno dei generi letterari più difficili evitando di ripetersi o scadere in un mero esercizio di stile. L’eros come fulcro dei dissidi umani e rappresentazione di un’origine ineludibilmente perdutasi lungo l’asse del tempo e delle generazioni, è sempre stato oggetto di una dicotomia fra libido e corpo che in poesia ha trovato la sua ragion d’essere. Nel contempo, l’eros è venuto a configurarsi, nelle sue diverse declinazioni, anche come un motivo di riflessione e discussione politica e culturale, al punto da incidere significativamente sulla relazione tra spaziatura e alterità, per riprendere alcune considerazioni di Jacque Derrida. La ragione è che il soggetto non può rimanere ripiegato presso di sé: necessità di un’apertura verso l’esterno, e dunque di un riposizionamento presso l’alterità.
Nella poesia di Duffy il desiderio assume non solo sembianze o echi fantasmatici, ma collide nello stesso tempo anche con forze, endogene ed esogene, che lo minacciano da vicino e lo perturbano:
Mi angoscia sapere che viaggi in quelle macchine
misteriose.
Ogni giorno la gente cade dalle nuvole, morta.
Inspira, espira, inspira, espira, così.
In sicurezza, sta sicura, sei al sicuro.
La tua foto è nel frigo, sorride quando si accende la luce.
La gente viene di continuo messa al rogo nei luoghi
pubblici.
Riposa dove i freschi alberi offrono una leggera ombra.
In sicurezza, sta sicura, sei al sicuro.
Non sdraiarti sulla sabbia sotto il buco nel cielo.
Troppa gente ridotta a brandelli.
Mandami la tua voce in qualsiasi modo arrivi attraverso
gli oceani.
In sicurezza, sta sicura, sei al sicuro.
Gli uomini senza amore e i ragazzi senzatetto sono lì
fuori, arrabbiati.
La gente della notte si toglie la vita nelle scorciatoie.
Cammina nella luce, con passo deciso vienimi incontro.
In sicurezza, sta sicura, sei al sicuro. (Chi ti ama?)
In sicurezza, sta sicura, sei al sicuro
Il rapporto profondo tra il sentire e la possibilità della perdita fonda le basi del pensiero desiderante e della sua interiorità, fatta di tumulti, angosce e immagini che fa prossima e viva la minaccia dell’irreversibile:
Più lei invecchia
e più si risveglia
con il volto di qualcuno sparso nella testa
come petali che un tempo formavano un fiore.
Quello che tutti fanno
è sedersi a una scrivania
e guardare il paesaggio, finché il tempo
dove vivono riappare. Per lo più a parole.
Immagina una ragazza
che si gira per guardare
l’amore accanto a una finestra, più alto,
intelligente, asperso di luce improvvisa.
Sì, allora come un angelo,
per essere sincera ora.
Prima un segreto, erotico, muto;
oggi un linguaggio che lei non riesce a ricordare.
E prima o poi
la gioia tocca a tutti.
Il trucco è ricordarsi ogni volta
che c’è stata, o vederla arrivare
L’irreversibilità insita nell’esistenza viene a inscriversi in un dire poetico insufficiente a raccontarlo. Il soggetto amato è colto in un processo d’invecchiamento che, se da un lato perturba la poetessa per l’imminenza dell’eventuale perdita o lutto, dall’altro tuttavia ne rende, giorno dopo giorno, lacunosi e parziali la memoria e di conseguenza l’immagine di sé presso l’amante: “il trucco è ricordarsi ogni volta/ che c’è stata o vederla arrivare”.
L’insufficienza del linguaggio dinanzi all’irreversibilità cui il corpo e la mente sono soggetti acuisce l’angoscia dettata dal sentimento amoroso e si fa eco di voci fantasmatiche che oscurano il soggetto amato:
I piccoli suoni che emetto sulla tua pelle
non hanno alcun senso. Fanno di me
un animale che impara le vocali; non che me ne renda
conto, ma li sento
scivolare via oltre le tue spalle, e incollarsi
al soffitto. Aa Ee Iy Oh Uu.
Sono suoni di sorpresa
agli strani fantasmi emanati dalla tua nudità
che si muove sopra di me nella quantità di luce
che una rete può catturare?
Che importa. A volte un linguaggio usato in modo ricercato
è un linguaggio usato male. È complicato
e difficile e giusto dire
ti amo quando mi fai queste cose
A tal proposito, Marinzuli e Bernardino osservano:
“Se l’unione con l’amante porta a stati di estraniamento estatico, l’elemento di aspazialità e atemporalità accompagna altresì opposti momenti di nostalgica solitudine, in cui l’io poetico cerca di sopperire all’assenza dell’amato/a attraverso un processo costante di ricordo e memoria, come nel caso di Words, Wide Night, in cui la poetessa esplora una sorta di otherwhere, dove è messa in luce la relazione di verosimiglianza che spesso si stabilisce tra realtà e linguaggio. La poesia si adopera nel tentativo di dare forma al sentimento dell’amore. L’io lirico pensa all’amante lontano e a come poter comunicare in parole la sua passione con eguale forza”
E tuttavia, frequente è l’uso di onomatopee, che, nella poesia di Duffy, appaiono come strumento per sopperire allo stato di mancanza, all’insufficienza che il desiderio d’amore sempre porta con sé:
In quella calda notte settembrina, abbiamo dormito in un
letto singolo,
nude, e sui nostri fragili corpi il sudore
evaporava e si rinnovava. Ho allungato le braccia
e tu, le mani sui miei seni, mi hai baciata. Serata d’ambra.
Le nostre sottane per terra dove ti sei inginocchiata
e con ferocia hai premuto la testa contro il mio ventre,
la tua bocca sulle ombre rosso oro, rosa; se non che
allora non era così che la vedevo, ma inarcavo
la schiena e spremevo acqua dall’aria umida
con i pugni. Ricordo anche di aver udito, distinta
seppur lontana alcuni isolati, una sirena – de
da de da de da – che si confondeva con le mie stesse
grida assurde, così che ho alzato lo sguardo, in
quell’istante,
e ho visto le mie dita contarsi, danzare.
Infine, Duffy ribalta i rapporti di potere convenzionale, spesso eteronormati o culturalmente imposti, di fatto rimettendo in discussione il motivo tipico del servitium amoris così come gran parte della tradizione letteraria lo ha presentato:
Accosto alla mia pelle, le sue perle. La padrona
mi ordina di metterle, scaldarle, fino a sera
quando le spazzolerò i capelli. Alle sei, le poso
attorno alla sua fresca gola bianca. Tutto il giorno
penso a lei, che riposa nella Stanza Gialla, a contemplare
la seta o il taffettà, che vestito metto stasera? Si sventaglia
mentre lavoro solerte, il mio calore penetra lento
in ogni perla. La sua corda, allentata sul mio collo.
Lei è bella. La sogno nel mio letto
in soffitta; me la figuro a ballare
con uomini alti, confusa dal mio profumo tenue,
persistente
sotto il suo, francese, e le pietre opalescenti.
Le inciprio le spalle con un soffice piumino,
osservo il lieve rossore che le si diffonde sulla pelle
come un sospiro indolente. Nel suo specchio
le mie labbra rosse si schiudono come se volessi parlare.
Luna piena. La carrozza la riporta a casa. Ho
nella testa ogni suo movimento… Si spoglia,
toglie i gioielli, la mano sottile si allunga
verso lo scrigno, s’infila nuda nel letto,
come fa sempre… E io qui distesa sveglia,
sicura che proprio ora le perle si stanno raffreddando
nella stanza dove la padrona dorme. Per tutta la notte
ne sento la mancanza e brucio.
Molteplici riverberi della tradizione si affastellano nella poesia di Duffy, dai poeti elegiaci del canone greco-latino a Christina Rossetti e Aphra Ben. E tuttavia, emblematico è il discidium amoris con cui Duffy decide di “abbandonare l’amore”, rievocando quello dei genitori defunti la cui unione è stata recisa dalla morte:
Sulla spiaggia di Roundstone,
dove le ceneri dei miei genitori
si sono imbarcate separatamente,
ho abbandonato l’amore.
Ho decifrato il consiglio di mia madre
dal mormorio del mare, il suo scrosssh
mentre supero la linea sulla sabbia
dove degli innamorati avevano segnato un cuore.
E non era un cellulare quello
che ho portato all’orecchio, ma una conchiglia;
prendo indicazioni dagli echi
per lasciare una vita sbagliata.
Un sole radente àncora i suoi colori all’albero maestro.
La mia ghirlanda d’alghe, lasciata in dono alla marea.