Il 18 Ottobre 2019, dopo una breve malattia, è mancato il mio bel micio. Morry era un gattone di 15 anni, affettuoso e molto simpatico, poltrone e inopportuno com’è nella natura di queste splendide creature. Quando io e la mia compagna ci siamo messi alla ricerca di una casa comune abbiamo tenuto conto della sua presenza, cercando un luogo che gli permettesse di scorazzare liberamente nella natura, salvaguardandolo dai pericoli delle strade molto battute. Così è stato; a breve ci trasferiremo, ma gli imperscrutabili progetti del destino (siano pure – fate voi – improvvisati da meccanismi democritei) hanno impedito a Morry di unirsi a noi. Sorvolo sui tumulti interiori, sulle emozioni derivanti da questo evento, per due ragioni: la prima è ascrivibile a una mia forma di pudore, per la quale i turbamenti sono fatti squisitamente privati e mai mi riesce di parlarne (se non con me stesso). La seconda è che, come sempre, ho cercato di superare i miei confini caratteriali con la poesia. Ciao Morry!

 

Poesie per Morry

Celarci ai dimentichi numi

Io ti voglio qui, fra i roridi
colli irsuti di bosco ceduo,
oppure a violare radici
muschiose del parco, raspare
– sacrilego – addentro il giardino
museo dei tre tetti. A voi, perché
dalle pulsioni cuori immuni,
che conto importa se non l’esistere
troppi? Un bilancio in natura – sta scritto –
e poco io credo ai destini. Possiamo
celarci ai dimentichi numi?

Quello strano far da cane

Con il manto argentato l’attendevi
– amico – il verso d’auto e nella corte
raccattavano bimbi sassi bianchi
e chiodi arrugginiti e storti, proprio
come scrisse Yukio, nella stella mia
meravigliosa accade.

*

Allora quello strano far da cane
d’un gatto, vero scettico, innestava
il riso delle genti grossolane,
inclini a ripagare le bestie con gli avanzi:
le croste di formaggio, il secco palco
del cervo abbandonato, il canto del fringuello
maschio imprigionato.

Ponente

Era torrido il mare a Calafuria,
pregavano il ponente i livornesi
(la sera rinunciammo al vino bianco
servito coi molluschi all’ostricaro)
e t’infilammo all’ombra nell’anfratto
d’uno scoglio, ma vile lo strisciare
dell’importuno sole nelle fratte
ci colse pigri e fermi, in rotazione.
A chi dubiti il senso d’immondizie
cotte lungo i pregiati litorali
ricordo che trovammo un buon riparo
per te, piegando a tetto,
un lurido ritaglio di cartone.

Gli ultimi giocattoli

Morivano gli ultimi giocattoli
tuoi: l’insetto bizzarro e salterino
(schioccava come avesse un meccanismo
a molla dopo lento caricare,
tremolava d’un ronzio)
spirava nella piega d’un tappeto,
svuotata, la lumaca scompariva
sciolta fra le setole
d’un fradicio zerbino.

Nel vederti morbido

Quant’eri – cuor spezzino – circospetto
da giovane e maturo ti strusciavi
lascivo e ben rotondo, vaporoso
pelo il tuo, che io ho dedotto
cadesse nel dominio del sistema
nervoso e dentro il sonno artificiale
tornò lindo, malgrado non facessi
da giorni la toeletta, appuntamento
del gatto peculiare, ch’è perbene.

*

Nel vederti morbido
dormire indotto il sonno che t’affranca,
ritorno alle visioni oscure, tu sai
non le comando e poco le missive
nitide chiariscono, ma recano
i dubbi sulle tappe del futuro.
Eri malfermo sulle zampe, magre,
a chiedere conforto, poi, stupito
il volto tuo sprofonda nell’acromo
passaggio, la parete indecifrata,
la nebbia sconfinata e verticale.

 

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