Una cartografia degli affetti che deflagra poesia: “Atlante” di Angelo Sturiale.

A distanza di sette anni da “La scrittura del suono”, torna a Catania l’artista multidisciplinare Angelo Sturiale con una mostra in cui potremo apprezzare la sua ultima e recente produzione realizzata interamente in Danimarca, alla Viborg Kunsthal. La mostra, dal titolo “Atlante”, sarà inaugurata il prossimo 18 gennaio (ore 18), e sarà visitabile fino al 28 dello stesso mese, nei locali della “Nuova Officina d’Arte”, in via Firenze 137-139 a Catania.

Riportiamo per introdurre la nostra intervista, uno stralcio dalla nota del curatore della mostra, Rocco Giudice:
[…] Il segno, privo di spessore, si aderge nella profondità cui dà corpo nell’atto stesso che vi prende slancio. Questa autonomia statutaria, questo arbitrio sottoposto al primato e principio di indeterminazione gestuale, gli dà lo stesso valore di una scrittura: delle articolazioni visibili di una lingua non verbale, della prosodia di una poesia non fonetica, della trascrizione di una sonorità non finalizzata a un effetto acustico. Non c’è divario tra il moto della mano e l’esito grafico, stilizzato in puro valore cromatico, ossia, ritmico: che non è solo della dinamica gestuale che lo definisce, ma della vibrazione, densità, pressione materica del colore; dei dislivelli di intensità e dei cicli di occorrenza e di pause e contiguità nella sequenza di essi, dello spazio che occupano sulla tela come di quello che scaturisce dall’adesione al movimento che si dà in uno col segno, dal confluire nella sua danza gestuale: da cui non potrà essere scisso; cui non potrà essere strappato. Segno e gesto, non più soltanto fusi, formano essi stessi l’unità sinergica (il composto organico, come rivendicava la mostra presentata anni fa da Sturiale, “Seibutsu”: termine giapponese il cui significato, non del tutto conveniente alla filologia occidentale, suona come “forma vivente”). Che, nella successione dello spazio della tela come del foglio, si pone da sutura plastica di ogni cesura postulata dalla sintassi dell’insieme, dalla catena significante-genetica che, sgranata, deflagra in una raggiera di vibrazioni, nel paesaggio delle morfologie sonore o delle risonanze depositate dalle calligrafie del suono nell’aria che lo pronuncia, del foglio o tela in cui riverbera in costellazioni alfabetiche senza genealogia e senza seguito, diaspore leggibili solo sinotticamente (come, in precedenza, nel “Poema Orizzontale”) di spiriti o enzimi animali o divini: e quando interrotte, senza avere nulla di frammentario, di mutilo che implichi mancanza o evochi incompiutezza che non siano parti integranti dell’opera, elementi di un campo di forza attraversato dalla leggerezza che irradia nelle chirografie astrali che non rivelano a quale chimera somigli la loro utopia. […].

Puoi svelarci qualcosa riguardo questa nuova mostra nella tua città natale? Anzitutto, perché hai deciso di darle il nome “Atlante”?

Perché il lavoro più importante in mostra porta il titolo “The Great Atlas of the Cheerful Lovers” (Il Grande Atlante dei Gioiosi Amanti). È un’opera a cui ho lavorato in occasione della mia ultima residenza artistica presso la Viborg Kunsthal in Danimarca. Per realizzarla ho impiegato circa 85 ore in 20 giorni, utilizzando quattro postazioni di lavoro fisse attorno a un grande tavolo da lavoro con 75 penne e pennarelli di vario spessore e colore, 26 tubetti di inchiostro di china, 18 fogli 42×30 cm per una superficie totale di 150×210 cm. È una delle opere più grandi da me realizzate negli ultimi anni dopo il mio “Poema Orizzontale” (http://www.angelosturiale.com/p/poema-orizzontale.html).
Il termine “atlante” è stato scelto anche perché l’opera è stata concepita come una rappresentazione geografica, in senso metaforico, volta a descrivere la varietà e la ricchezza, nonché la complessità di sentimenti e sensazioni, riflessioni e stati d’animo vissuti da una coppia di innamorati nella loro fase più alta di innamoramento allegro e “gioioso”, appunto. Una mappa del cuore, cioè, una cartografia degli affetti, di proiezioni sentimentali, un diario di immagini mentali e oniriche, di ricordi e memorie tra amanti reali o ideali.
L’Atlante infatti non intende descrivere o evocare lo stato dei due innamorati solo nel loro presente o nel loro passato. Nel suo titolo è implicito infatti anche il desiderio o la speranza che questo stato possa essere vissuto in un futuro indefinito, o anche solo immaginato, agognato…
Le 18 “tavole” che compongono l’opera sono separate da un piccolo margine, ma è possibile chiaramente cogliere una certa continuità grafica tra loro, a cui però sono arrivato attraverso diverse combinazioni e disposizioni che in origine avevano un altro ordine e struttura. Spesso compongo e decompongo le mie opere, tagliandole persino in vari pezzi, per poi ricomporle in figurazioni imprevedibili: la finalità principale di queste operazioni e tentativi di ricomposizione, che possono durare anche diversi giorni, è quella di creare complessità formale e imprevedibilità, nonché preziosi ostacoli metodologici che io stesso mi impongo per sorprendere continuamente le mie stesse abitudini e procedimenti che altrimenti rischierebbero di impoverire l’energia o flusso creativo. Mi propongo sempre di generare un clima di lavoro dinamico e adrenalinico, perché trovo tutto ciò molto stimolante, un po’ stressante a volte, ma alla fine certamente divertente.

Le tue opere sono realizzate in genere mediante penne ad inchiostri su carta, non usi per esempio pennelli o altre tecniche. Anche in questo caso hai utilizzato gli stessi procedimenti?

In realtà già da qualche anno realizzo dei lavori con penne colorate e altri supporti. Al mio linguaggio si sono inseriti elementi, diciamo così, più pittorici, anche se la “mia” tecnica rimane quella del disegno bidimensionale. Ma in occasione di “Atlante” ho sperimentato con colori ad acqua, inchiostro e smalti, utilizzando per esempio direttamente le dita sulle superfici cartacee, lavorando il colore senza penne o pennelli, stendendolo cioè sui supporti mediante un procedimento che io definisco “a bacio”! Il colori dei fogli, cioè, vengono fatti incontrare, quasi “baciandosi” tra loroappunto, in combinazioni matematiche ordinate. Il risultato finale garantisce una certa unità o coerenza stilistica tra gli esemplari, all’interno dei quali comunque è sempre possibile apprezzare una micro varietà che consente all’osservatore di perdersi in percorsi immaginifici e fantastici.

I tuoi prossimi progetti? Anche al di fuori dell’arte visiva…

Dopo la mostra andrò a Shanghai su invito della Swatch, per una residenza artistica di tre mesi presso lo Swatch Art Peace Hotel. Vorrei realizzare delle opere con diversi materiali e tecniche, giocando in maniera personalissima con l’immaginario siciliano folkloristico, facendomi ispirare da pizzi e ricami, dai colori dei carretti, dall’Etna per comunicare una idea di Sicilia e sicilianità comunque attuale. Vedremo!
Inoltre sto lavorando anche alla scrittura del mio prossimo libro dal titolo “Finestra”. Si tratta di una serie di scritti poetici accomunati dal tema dell’osservazione sui sentimenti, riflessioni ecomportamenti influenzati dalla tecnologia, dai cambiamenti dei codici comunicativi, dalle crisi o ridefinizioni antropologiche e sociali delle relazioni interpersonali e affettive. Ancora una volta, così come nel mio “Catalogo d’amore” (Edizioni Le Farfalle, 2016), un libro in cui parlano diversi “io”, diverse voci interiori, versi in cui rispecchiarsi in diverso modo e con diversi registri linguistici.

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