Antonella Taravella Guarino. 7 poesie

Pablo_Picasso_-_Donna_con_cappello_verde

Lunga è la notte [cit. Peppino Impastato]

Accuso quella notte, tenendola
                                                        spenta al petto
diserto la febbre che as_sale le dita
-nel riprendersi deserti come fiumi-
e puntellando piano la neve
nello sciame di morte che raccolgo
                                      con una mano
*
disegno una forma
e percorro la goccia – fragile
che danza nelle cornee n u d e
rimando la bocca in un scatto di dolore
ogni notte è  un castigo
fermo – sulle parole
pulsa nel rovescio di cielo
*
distruzione – in squame basse
di mancanze  strofinate
nella corteccia – cerebrale
attraversandomi i tagli
colmi di assenze smisurate

***

Falò di latte

Lenta nel piegarti come un abito sul letto
un falò di latte che sale dai bordi succhiati
e si consola sul seno, mostrato come
un capezzolo turgido che racconta la storia
alla guancia sugli argini di una pazienza
di questi nevosi sepolcri squarciati
raggiunsi la punta di becco giall’ocra
che scorreva sulle rose in piena notte
e nel ragguardevole allontanarmi dai bordi
deconcentro la mia voce, grattando
il canale di scolo dei miei dolori.

***

L’omaggio rimane sul tavolo – come un formichiere di versi

Voglio uccidermi, sfuggire alle mie responsabilità, strisciare di nuovo nell’utero.

-Sylvia Plath-

nervosa di giorni salati e di una casa spaccata
raccolgo l’odore pettinandomi una povertà
che mi percorre il corpo come una fame
in questo male che occulta la parola
con una paura che non mi parla
faccio d’erba le unghie
il mare ha nel sale il fuoco – che scrosta
l’impiccagione degli errori

e si fanno bestie questi pezzi di muro
senza colore tolgono la mia infanzia dai bulbi
le mani hanno un fondale di meduse
che in lamento schiumano piscio
in un eclissi di formiche e nuvole

***

Agonìa

lenta l’agonia dell’acqua
si fa fitta fra mani e rami secchi
in un silenzio che risuona
e riannoda un salmodiare
al suo inginocchiarsi
dentro il sonno e la forma delle parole
a darmi una brace nel camminarti
come passi lenti d’insetti
la bocca ora ha fiori e tanti singhiozzi
che diventano segni sulla stoffa lisa dalla pioggia
mentre resto sfuggendoti alle cose

***

L’io e il lato terso del mio parlarti

1]
cibiamoci di queste crepuscolari disarmonie
per redimere nervi e poi occhi
percepire l’inverno secco che sale, sulle gambe
di mani infantili a sfilare ombre e le conseguenze più umide
per adeguarsi ad irrisolti dialoghi.

2]
siamo di vita e di graffi
fuoco freddo, dove il disprezzo del sangue porta un peso immane
il tempo, disegna traversine in rogo
e mi tremi ovunque nel tornare che si fa passato
dalle lacrime mi dispieghi i sensi, per farmi felice.

3]
gutturale il tuo nome avanza di 5 passi per volta
si nasconde sotto cieli neri
abbaia imperterrito quando, la mia bocca si fa muta
sfilando lento, i miei perdoni dal mare
e dandomi fuoco, quando ti cammino nelle parole.

***

Raccontarsi

raccontarsi di un viaggio, dalla pianta del piede
alla ciocca bruna                 attorciagliata sui seni
perdonarsi lo sguardo, sciolto,
come mascara dopo la pioggia

ci guardiamo lentamente, nella corporatura
del pensiero esiliato, sul fondo del mare che

[dispera]

e scomparire, nella pelle incerta                   per chiedere
alla bocca questo inverno che mi devi.

***

La pietà della voce

temo la pietà della voce
questo uscirmi dalla gola
           gemito
tremarti addosso come
un inverno arricciato
mentre sulle labbra
                  m’ invade la congiura
di questa apnea bianca
che cerchia le dita
                     [scivola sdrucciolo]
nel giro di piume
che cade dagli orli
mentre siamese
mi       sciolgo      dai seni

 

 

 

 

 

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