“Sogni e risvegli” di Fabrizio Bajec. Contemplazione, estasi e “veglia parziale”.

Sogni e risvegli è un libro che sfrutta con sottigliezza i due termini del titolo. Il lettore si aspetta prima i sogni e poi i risvegli, ma rileggendo si nota che i risvegli hanno in sé qualcosa del sogno, e viceversa. C’è un effetto in parte speculare più che un movimento lineare in una direzione univoca.

Bajec utilizza un’articolazione sintattica un po’ più slegata che in passato, mettendo poca punteggiatura, con un effetto a volte quasi da monologo interiore, o meglio da discorso fra sé e sé, pur restando sempre all’interno di un’articolazione logico-razionale del discorso. Tale fluidità fa germogliare i pensieri uno dall’altro con un effetto di “veglia parziale”, per così dire, come se dentro di noi non fossimo mai svegli del tutto, se non in qualche momento felice (o infelice).

Detto questo, il libro presenta comunque una progressione dalla sezione iniziale, dedicata esplicitamente ai sogni, a quella finale, con testi la cui lucidità dà il senso di un risveglio alla nitidezza delle cose, in uno spirito di sapore buddista, già presente in precedenti libri di Bajec. In mezzo ci sono altre sezioni, in cui ci si sposta nel tempo e nello spazio: il mondo visto attraverso lo sguardo della figlia, rievocazioni dell’infanzia dell’autore, un quaderno di viaggio messicano, il conflitto sociale — una sezione che sottolinea come i sogni e i risvegli non sono solo individuali ma anche collettivi.

Questa sezione, nata dalla rivolta dei gilet gialli, è anche l’unica a essere stata scritta in italiano. Le altre sono traduzioni dell’autore di poesie composte in francese. Risognando gli originali, o forse risvegliandoli, in un’altra lingua, come fa ogni auto-traduttore consapevole.

“Sogni e risvegli” di Fabrizio Bajec, Amos Edizioni, collana A27 poesia, 2021.

 

 

scelti per voi 

 

 

2.

unico paesaggio notturno le sbarre
immobili guardie sui loro bastioni gelati
attraverso di loro nulla mi sfugge
le sbarre mi inquadrano
talvolta sporge un arto
qualche oggetto precipita e annuncia il mio rigetto
seduzione o passione per la gravità
le sbarre mi accompagnano
posso appendermi issarmi
come una bestia infatuata della sua cattività
ammirabile durante il sonno
benché ristretta e abbattuta
per aver molto lottato
questo sacchetto di farina mezzo vuoto
sono io e come ogni altra cosa
un posto mi spetta

 

5.

il tamburo egiziano risuona
l’ho martellato in terra
e morso le sue cordicelle
come le orecchie forate
di una madre africana paziente
tra gli escrementi
insensibile alla miseria altrui
ho scosso lo strumento sordo
senza riuscire a trarne profitto
in maniera ortodossa
cercavo la complicità di mio padre
ed era totale
anche se breve poiché
la correzione di questa lirica lo ha sottratto
al mio teatro ambulante

 

6.

quando passo bianca nel biancore della chiesa
abbaziale io minuscola di fronte agli alti muri
che cingevano i cistercensi inginocchiati
nel vuoto così forte da farli sparire
mi sento già morta e ho solo un anno
chiunque tu sia prendimi fammi volare

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