Kurt Solmssen, The Yellow Room at Vaughn, 2015, Oil
Kurt Solmssen, The Yellow Room at Vaughn, 2015

rubrica inediti d’autore in anteprima

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tre inediti da RIPARANDO LE PALPEBRE

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Poi si torna a nominare le cose
come se non le si fossero mai viste:
questo è muro, muro fatto con mattoni,
mattoni rossi, mattoni cotti in un forno
chissà dove chissà quando e quanto
il tempo di cottura la resistenza
a pioggia vento grandine e tutta
tutta l’usura. E appena sopra
qualcosa che appare azzurro; si dice cielo
ma non si sa perché.

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I fiammiferi che tengo in una mano,
per l’affanno – io che debbo farmi strada –
li spengo, una due tre volte
non è che non imparo, è che non voglio
restare solo nella notte, circondato
da queste facce meravigliose.

Vieni tu finché puoi a calmarmi.
Proteggiamo a quattro mani
questa sonata notturna, la piccola
insignificante fiaccola
che avevamo tra le dita, e che adesso
porto come un ordigno
o l’ultimo esemplare di una pianta estinta,
all’altezza del petto.
Fa’ con me ch’io possa allontanarla di nuovo
ad accendere il breve tragitto
che dal buio ci spinge fuori,
verso una luce per cui le mani
ad altri gioiosi ripari abbagliati serviranno.

Ora che siamo oscuri e senza confini
saremo bianchi, come e più di ieri
contornati, ora che ci crediamo stanchi
saremo ancora più giovani, freschi.

Se il vento è troppo, chiudiamo le mani
attenti a non bruciare, se troppo poco
soffiamo alla testa del cerino morente
diamogli aria, spazi.

Felici non lo si è, lo si diventa.

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Indietreggiando

Avviene a volte, nel cuore pulsante
della notte, che il sonno venga meno
che la stanchezza si appigli a un pensiero
un pensiero fisso, e lo lavori
lo lavori per bene. Avviene a volte
che ci si senta soli, lavorati da questo pensiero
che ci si giri nel letto
sperando nel miracolo di un corpo,
di un demone imperfetto.
Che dal calco emerga il fatto
e che si faccia finalmente abbraccio.

Ridi, caro lettore, ridi tanto
se penso, intorno alle tre e mezza,
di aver perso un arto e dopo un altro
e che questo abbia come nome
tenerezza. La sento trasmigrata
dentro di me ma fuori, nuda, raggelata.
Ridi pure perché sai che non è così
che riconquisterò l’amore,
la libera appartenenza, quel dire “il mio”
“la mia” e sorridere.
Non è così perché l’uomo deve essere
forte. Ridi pure tu nel cuore della notte.

Ed è per questo che mi alleno
per avere braccia possenti
che scaglino lontano tutto il male
che sappiano tenere sospeso
nella mano trenta quaranta cento chili
il peso della grazia, senza tremare.

Ridi pure, è per te che mi alleno,
per te che verrai
e vedendo queste braccia capirai.
Ma se ridi ridi più forte
di gusto, sapendo che nel cuore della notte
capita, non sempre
ma il più delle volte,
di deporre questa parte così maschia
e di volersi nonostante
l’ostinazione di questa massa muscolare
di volersi nient’altro che rannicchiare
come si dice – “a cucchiaio” –
proprio così, e premere
ad esempio un dito sulla sua pelle
fingendo lo sbaglio;
sapere che in quel punto
per una ragione ben precisa,
nonostante il buio, il sangue si disperde
facendo più bianca la pelle
e poi ritorna.
Sentire che nel sonno si avvicina
indietreggia, ti cerca.

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