“Tutte le ossa cantano la canzone d’amore” di Pietro Russo (Pequod, 2024)

anteprima

Tutte le ossa cantano la canzone d’amore è mantra che si accorge del bene, conquista faticosa di un punto dove il mondo ascolta ed è ascoltato. Potrebbe anche essere, forse, testimonianza di un cadere e del palmo di mano che arresta la caduta. Porsi di fronte alla sapienza minerale delle ossa vuol dire riconoscersi e riconoscere la specie a cui si appartiene assieme a tutto il creato. Le nostre ossa cantano da prima e canteranno dopo, la parola è re-incarnazione, ancora una volta, di nuovo, sempre. E il nostro accordo con il mondo (non di rado stonato) è il rito di chi si attacca alla terra nella parabola tra semenza e cenere. Le ossa cantano e in questa canzone non ci sono né vivi né morti, solo il Vivente, che è canto e vento che lo trasporta.

(Pietro Russo)

 

Tutte le ossa cantano la canzone d’amore di Pietro Russo (Pequod, 2024)

 

*

Lo chiamo padre

Diceva che il respiro di Dio è sempre
il respiro di Dio, anche se passa
da un uomo all’altro in eterno

Cormac McCarthy

C’è un uomo prima di tutto
e io lo chiamo padre

e non vedo la casa costruita
con gli occhi miopi della rinuncia

Io nella foto sono quello tra le braccia
ancora non lo so
ma quello che chiamiamo cadere
è il modo in cui una stella declina la propria luce

C’è un uomo all’inizio di questa luce
la montatura squadrata degli occhiali
che sembra un telescopio di precisione –
io l’ho chiamato padre, ed è un uomo
non un dio che blatera di assurde stelle
e dinastie tra la sabbia

 

*

 

Una poesia politica

Volevo scrivere una poesia politica con dentro un cielo alle sette di mattina
avere il potere di un dio che respira sul giorno
la solitudine di un dio abbandonato
che cerca riscatto per la sua opera
un finale diverso

un corteo di aeronavi in fuga (nella soggettiva di due che si abbracciano riflessi nelle vetrine rotte della Rinascente)

In quello che resta della poesia
il vento gioca con i brandelli di un vecchio poster
e questi due
come radici secolari di un amore devastato

Lei poi fa in tempo ad alzare la testa
e intravedere il vecchio dio
con tanto di occhiaie e barba sfatta
che saluta dall’oblò con la mano aperta

 

*

 

Coperture

Ora che mi aggiro nei sogni dei miei figli
sotto copertura di vecchi simboli
il Dio dei Testamenti mi fa spazio
volentieri diventa distanza

a poco a poco
imparo a stare nelle fughe
tra libertà e amare

quando chiameranno da altre case
spero di essere ancora
come posso
la mano che veglia il loro sonno

 

*

 

Lettera extrasistema

A volte qui scopriamo denti affilati
quando muore un manager di quarant’anni
di fronte a una nave di migranti
ci dividiamo in clan come alla prima notte

ma poi la notte si apre come il fondo di un trucco
e non c’è inganno davanti alla luce del giorno
niente che giustifichi questo odio

Siamo poveri di carezze, ecco

Ma dimmi di te, piuttosto,
come stai su Betelgeuse?
E il dna che abbiamo impiantato
con la nostra migliore immagine d’asporto –
anche lì una vita che si alza dal fango
per vedere, da esseri con la schiena eretta,
che non sempre ne varrebbe la pena?
E la gioia, dopotutto?

                               Con amore terrestre,
                                                                 tuo Pietro

*

Potevi leggerlo nelle scapole di un vitello?
In una di quelle poesie orrende
che ti scrivevo?
Ci sono foto da spostare nel Drive
un dvd che prenderà polvere fino a quando
un nipote poco incline ai feticci di famiglia
si sbarazzerà di noi un giorno
perché la fede nel futuro è tutto ciò di cui ha bisogno.

Stasera ho pensato una cosa tornando
a questo spazio di pareti glabre –
nessuno dietro la porta quando ho girato la chiave
ma lo stesso ho detto
                                                     Ciao

Vedi com’è facile finire in un cliché?

E comunque, io
da te ho imparato la fede

 

*

 

5.5
(superstite della luce)

Viveva in un paese sul mare
ma senza sbocchi sul mare
in un paese dove gli aerei del vicino
radevano i palazzi in segno di forza
e prevaricazione, viveva
un uomo il cui nome non importa
uno che non mischiava le sue ragioni
con le macerie

                                 così chiedeva
alla luce superstite cosa fa di un uomo
un uomo –

       ma il treno arrivò, in orario, a Giarre-Riposto
dove un altro scese al posto suo
allacciandosi la domanda alla vita
che viveva al suo posto

 

*

 

da Disarmi (prove di primavera in passivo)

Nelle città degli uomini
hanno staccato la corrente per non dare appigli
luminosi.
È importante ricordare come arriva la sera
nelle città degli uomini
dove i nostri corpi stanchi e depressi, adesso
anche spaventati, accendono fuochi all’orizzonte.

Nelle città degli uomini
l’invidia del sole ci fa sbranare come cani.

Sainey, gambiano di un villaggio
di cui nemmeno sa scrivere il nome,
ferma il dito sul mappamondo
Qui hanno ammazzato mio padre.

Sempre i corpi vivi cercano altri vivi
a cui stringersi per il freddo
e quando poi il sole si alza come un chiodo sulla
testa
faremo la conta, ma ora
dormire mezz’ora o non dormire
significa assicurare ai sogni una fortuna migliore.
[…]

*

“abbiamo lasciato il campo cantando”
questo avremmo voluto dire
scrollando la sabbia dai vestiti
separandoci dalla terraferma
lasciando indietro i nostri nomi

ma noi non c’eravamo
quando il cielo si separò dalle acque
e per protesta i pesci ripudiarono il canto

così abbiamo lasciato il campo
qualcuno persino con qualche speranza

*

Guarda come si apre questa bocca
Per parlare qualsiasi lingua tu mi conceda

Jericho Brown

vorrei poterti inondare di benedizioni
ma come si fa a dimenticare
il verso d’acqua tra la lingua
e il piede che sbarca

questa è la mia faccia?
concedile di entrare in una storia
come quando due corpi si toccano
il baccano che fanno
oh il baccano

vorrei sentire la mia voce perdersi di sera
come nel doppiaggio di un orgasmo
allora saprò compensare il tuo nome

oh, il baccano che fa
il tuo nome

*

da Tutte le ossa cantano la canzone d’amore

tutte le ossa parlano la lingua del mondo
tutte le stelle cantano nelle ossa
saggio e lieto chi ascolta
la canzone d’amore delle ossa
e al suo cuore si volge come a un confidente

occhi di brace capelli corvini
la mavara che fa urlare le ossa
dice qui è il male, e lo tocca
qui è il male – una parola,
e con mani esperte continua
questo, dice, è il tempio dove gioca
a fare l’eterno l’universo
con lingua di stelle che esplode

tutte le ossa cantano la canzone d’amore
due tibie incrociate fanno un tesoro
di amplessi e sapienza
la sapienza del mondo
prima del fuoco
sulla vetta più alta del mondo
due corpi che si cercano
si danno gioia e tormento
scordandosi il male per un momento,
conclude lei

 

Pietro Russo vive a Catania. Insegna Lingua italiana agli stranieri. Il suo primo libro di poesie, A questa vertigine (2016), ha vinto il premio Violani Landi per l’opera prima. Ha pubblicato una plaquette in lingua siciliana, Eppuru i stiddi fanu scrusciu (2022), e ha co-curato Contemporary Sicilian Poetry. A multilingual Anthology (New York & Bristol, 2023). Organizza ed è direttore artistico di alcuni incontri di poesia in Sicilia. Alcuni suoi testi sono stati tradotti in Canada, negli Usa, in Austria. 

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