«La maggior parte della gente/ ignora la maggior parte della poesia,/ perché la maggior parte della poesia/ ignora la maggior parte della gente». I versi di Adrian Mitchell si stagliano nel cielo terso, specchio di un prato smeraldo attraversato da una ragazza scortata dal suo fido e, svelandone il senso, schiudono “Voglio scrivere una poesia”, incantevole libro («il primo scritto direttamente in italiano») dell’autore francese Bernard Friot, amabilmente illustrato da Arianna Papini per le raffinate edizioni “Carthusia”. Un testo nato inaspettatamente, «come una (bella) sorpresa», animato da parole dettate dal desiderio di dare spazio all’esistenza rivelando l’invisibile dentro il visibile della quotidianità. Immaginando una poesia «scritta su carta spiegazzata/ e dimenticata sotto una pila di vecchi giornali./ Sarà bello ritrovarla, una sera dopo la palestra,/ e rileggerla, stupito e, sì, un po’ intenerito». Affrescato da mani che amano la natura e gli animali «in modo struggente», ritrovandovi il profondo linguaggio non verbale dell’arte. Un libro “invitante” che culmina con la sospensione dei due punti e che offre interessanti spunti di riflessione con entrambi Friot e Papini.
Scrittori si nasce o si diventa?
Secondo me, si diventa scrittori, sopratutto quando si scrive per bambini e ragazzi. Io personalmente non ho mai sognato di diventare scrittore. Sono stato insegnante, ho sempre cercato di trasmettere la lettura e la scrittura, perché penso che siano utili per essere più forti, più creativi, più aperti al mondo (anche se ci sono tanti altri modi per essere forti, creativi, etc.). E ho iniziato a scrivere per aiutare bambini con difficoltà di lettura.
In un mondo sempre più incapace d’ascolto, cosa può la lettura?
Io non direi che il nostro mondo è incapace d’ascolto. È certamente sempre più difficile concentrarsi su una fonte d’informazione perché abbiamo tante sollecitazioni. La lettura per sé non può niente, sono i lettori che possono fare qualcosa con un testo e (questo è il dato più importante) possono condividere con altri lettori quello che hanno scoperto in un libro. È l’attività del lettore nei confronti del testo e degli altri lettori che è determinante.
Pensando al vostro delizioso “Voglio scrivere una poesia”, mi chiedo: la poesia si lascia scrivere o snobba l’imperativo?
La poesia è sperimentazione, prova, ricerca. È fatta di volontà e di caso. Si deve aprire la porta (questo è il gesto iniziale del poeta) ma non si sa mai che cosa c’è dietro la porta.
Qual è stato il più grande insegnamento ricevuto dai suoi lettori, dai ragazzi?
Prima di tutto: grazie per questa bellissima domanda. I miei lettori mi hanno insegnato a fidarmi di loro. Sono sempre più intelligenti di quello che penso, che spero. Dunque posso sempre andare più avanti, sperimentare nuove vie per dare a loro materiali con cui possano costruire castelli di carta…
Illustratori si nasce o si diventa?
Ambedue le cose. Si nasce rapiti dall’arte, con la consapevolezza di non poterne fare a meno. Si diventa artisti solo attraverso un percorso di vita meraviglioso e totalizzante in quanto senza una dedizione totale e giornaliera la passione suddetta non può prendere una forma professionale. Diceva Leonardo Da Vinci di non far passare un giorno senza disegnare. Ecco, questo dice tutto. Senza la passione sarebbe una cosa molto faticosa, d’altra parte seguire tale precetto/consiglio porta chi ama l’arte a diventare artista, illustratore.
In un mondo sempre più incapace d’osservare, cosa si può illustrando?
Proprio l’incapacità che ha la società di osservare ci deve portare alla nostra responsabilità di artisti. Dobbiamo dire la verità, sempre. Possiamo vestirla di colori nuovi, possiamo interpretarla in modo folle o strano ma la verità interessa a tutti. Vedo che più racconto il mondo e più le persone guardano alle mie opere in modo approfondito e serio. Non sto parlando di estetica, possono amare o non amare la mia arte, ognuno ha i suoi gusti. Parlo di dialogo. Quello ci deve essere sempre. Il dialogo visivo fa vivere le nostre opere, in assenza dello sguardo dell’altro il quadro non esiste. Quindi è un atto di amore in cui vivono e dialogano almeno due persone, che sono altrettanto protagoniste. La meraviglia della poesia di Bernard è il concetto, che condivido profondamente, che l’arte, la poesia non debbano mai rappresentare qualcosa di eletto, per pochi. Ecco, questo. L’arte che dialoga, parla, a volte grida e sempre chiama l’altro. Sento un dovere in tal senso.
Pensando al vostro delizioso “Voglio scrivere una poesia”, mi chiedo: la poesia in che modo si lascia illustrare?
La poesia è meravigliosa da illustrare perché è ampia, e lo è abbastanza da farsi “abitare” dalle immagini personali di chi la illustra. Ma questa cosa accade solo con la vera poesia, quella che pesca nelle viscere della memoria, quella che non teme di entrare nella vita vera per renderla fruibile attraverso la bellezza. Quando la poesia è così, allora è come una splendida modella per uno stilista, le sta bene anche uno straccio. Ma quello straccio deve essere tagliato bene e soprattutto deve avere la misura giusta, sottolineare senza troppo dire, rispettare la misura piccola delle frasi ampliando le vie della lettura, leggere oltre le parole, aprire orizzonti. Il ripetersi di una frase è come un canto, ogni volta è nuovo. Nell’apertura in cui Bernard ha scritto “Voglio scrivere una poesia”, lì ho immaginato sempre orizzonti. Perché la creatività vive dell’altrove, della speranza, della vita oltre la vita…
Con le tue illustrazioni attingi e stringi la bellezza che destando profonda venerazione per la vita. Come nasce e come si alimenta la tua ispirazione?
Amo la vita, in tutte le sue manifestazioni. Temo l’uomo e il suo impatto sulla natura e allo stesso tempo lo amo per la sua profondità e per la sua capacità filosofica di attingervi. È molto vero ciò che hai osservato, si tratta di venerazione. Così quando vado a dipingere la vita avverto allo stesso tempo una voluttuosità nell’utilizzare i materiali, a volte fin troppo precipitosa, e uno stare incantata in un luogo magico che percepisco immobile, infinito. È un amore molto grande poiché se ci penso bene non credo all’arte in sé, in assenza della vita. La bellezza è ovunque. Anche in ciò che non viene considerato bello poiché la sua essenza, se ci narra, ha una sua valenza estetica. Per me l’ispirazione nasce dalla mia enorme curiosità. Mi interessa tutto del mondo, soprattutto ciò che non capisco nell’immediato. Allora vado a cercare, osservo, leggo, finché una nuova “epoca interiore” prende vita. Sono stata una studentessa molto brava ma mi affaticavo moltissimo perché mai mi fermavo alla superficie, dovevo andare a vedere, sempre, il retroscena, il punto di vista che non condividevo, la versione che mi appariva insondabile. Mi nutro di arte di tutte le epoche, di immagini e scrittura di tutti i generi. Credo nello studio e lo amo moltissimo ma credo anche nella vita di ogni giorno: nel coccolare l’altro, persona o animale che sia, ci rigeneriamo. Fare una torta o fare la maglia porta a un tempo assente che rende l’arte fruibile e immediata. Tutto è utile, tutto è sublimato dall’esperienza artistica. Chi fa arte è per questo e molti altri motivi veramente fortunato.
Voglio scrivere una poesia,
ma una poesia che sia mia,
una poesia di ogni giorno,
banale e splendida come la vita.
Voglio scrivere una poesia,
ma una poesia che sia anche tua,
una poesia di ogni giorno,
banale e splendida come la vita.
E se la scrivessi tu, la tua poesia,
la nostra poesia,
banale e splendida come la vita?
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(la versione ridotta di questa intervista a cura di Grazia Calanna, è apparsa sul quotidiano LA SICILIA dell’8 aprile 20018, pagina Cultura, rubrica “Ridenti e Fuggitivi”).