«Se avessi un filo il mio cappello sarebbe un aquilone,
perché una cosa può diventare un’altra cosa se si guarda con gli occhiali d’argento…»
Ziq è sulla spiaggia. È questa l’unica certezza consegnata alla scena. È un ragazzo siriano che porta ombrelli da pioggia sotto il sole, cerca di venderli alla gente nella vacanza di un’ estate italiana. Aziq parla da solo, parla con Ziq… per farsi compagnia. Si muove in uno spazio segnato da incontri all’apparenza voluti dal caso, evocati con parole che formano immagini: l’uomo con la torre di cappelli, il venditore di cocco, il vecchio cieco con le piume di pavone, il gigante dei tappeti. Ziq parla con ciascuno di loro, seguendo con i propri ombrelli una partitura di gesti correlati al senso della solitudine e al bisogno di amicizia. Ritorna a volte con la mente al passato, a schegge di una vita trascorsa ad Hama, in Siria, la città delle norie, le grandi ruote idrauliche che girando raccolgono l’acqua del fiume Oronte per portarla nelle case e abbeverare la terra. Un passato felice e di pace trascorso tra i campi, quando aveva ancora una famiglia, una madre e un padre speciale: Isar, il Grande Inventore. Le sue parole si ripetono ancora sulle labbra di Ziq, nel monito costante di una carezza: «osserva figlio mio, osserva in libertà per conoscere il mondo che potrai inventare.» È una voce che risuona con il riverbero di un eco, ricorda al figlio la capacità straordinaria dell’immaginare, del trasformare le cose più comuni per trovare con esse un modo d’affrontare le ferite della vita. C’è la guerra nel destino di Aziq, la morte, la separazione dai propri affetti, l’abuso ricevuto dall’uomo con i denti larghi, la fuga in treno per raggiungere il porto di Tartus e il mare in cerca di un barcone. Tutto sulla scena ruota attorno a Ziq e ai suoi ombrelli per dare forma al cerchio, segno distintivo di questo dramma sul quale la Regia orchestra il gioco proteiforme di tre attori sospeso da pause affidate alla poesia e alla musica: Girano le ruote come girano gli ombrelli
se qualcuno li fa girare. Girano tutte le cose rotonde:
inventano cerchi nell’aria anelli di un circo fantastico senza inizio nè fine.
Le parole di Aziq schiudono il confine tra il vero e il possibile, restano in equilibro sopra il filo del Funambolo, deux ex machina di questa tragedia vestita di fiaba. La spiaggia di Ziq assurge a simbolo universale di salvezza. È la terra ferma ma soprattutto il miraggio agognato da ogni esule che prende il mare.
Lina Maria Ugolini
Sognare la libertà è l’utopia più grande, ma qual è il significato di questa parola per ciascuno di noi? Dipende dalle condizioni in cui viviamo. Più cresce il benessere più l’asticella si sposta e i termini di paragone si allontanano, si distorcono, diventano relativi. Per milioni di ragazzi nel mondo essere liberi significa poter semplicemente giocare spensierati, senza dover pensare a procurarsi il cibo o a scappare dalla violenza della guerra. Per migliaia di loro, la cui disperazione costringe ad intraprendere un viaggio terribile, le cose si capovolgono. Di solito, sulla sabbia (quella del deserto), il miraggio è l’acqua; in mezzo ad un deserto d’acqua, al contrario, si agogna la sabbia ma di un altro tipo, più amica: quella delle nostre spiagge, da dove magari intraprendere una nuova vita e sperare nel futuro.
Mettere in scena questa nuova opera di Lina Maria Ugolini è per me una gioia, ma al tempo stesso un’angoscia scaturita da due fattori: uno legato alla realizzazione di un copione che potrebbe benissimo essere la sceneggiatura di un film, per la ricchezza di immagini e la scansione temporale; l’altro dettato dalla consapevolezza che la nostra assuefazione a storie come quella di Aziq (ormai all’ordine del giorno) è diventata anestetizzante. Non ci fanno più impressione i morti in mare, per noi sono solo numeri. Per questo motivo affrontare certi argomenti con la metafora e con la poesia – e dunque con le forme più potenti cui la scrittura possa attingere – li mette sotto una lente di ingrandimento speciale; li libera dalla morbosità della cronaca e ci costringe a riconsiderarli in tutto il loro dramma. Aziq parla con Ziq, con se stesso e cioè con la nostra coscienza. Perché Aziq siamo noi e stiamo affondando come lui ma in un altro mare, quello sconfinato e abissale dell’indifferenza. Dovremmo tutti, a turno, poter fare un viaggio nell’esosfera per ammirare il nostro pianeta: vedere soltanto la bellezza “rotonda” di un luogo che non ci appartiene. Sono sicuro che al ritorno ci vergogneremmo di parlare di muri e di confini. Dovremmo poter inforcare per sempre gli “occhiali d’argento” del padre di Aziq, il grande inventore, perché una cosa possa diventare un’altra, per guardare tutto più nitidamente e dare ad ogni vita lo stesso valore.
Vittorio Bonaccorso
Ziq è sulla spiaggia il prossimo fine settimana, sabato 8 (ore 21) e domenica 9 febbraio (ore 18), sarà protagonista a Catania all’interno del cartellone del Piccolo Teatro della Città di Catania.
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Ziq è sulla spiaggia di Lina Maria Ugolini.
Regia di Vittorio Bonaccorso.
Con Giuseppe Arezzi, Vittorio Bonaccorso, Federica Bisegna.
Compagnia Godot Ragusa.