rubrica nuovi poeti
Tra tutte le cose che potevo dire
“carne in scatola”, mi sembrava la più opportuna.
Un clima di guerra.
Sentivo i postumi nel raffreddore.
Ero senz’altro in un luogo comodo, non pericoloso, in un ufficio.
Ma fuori, c’era la guerra.
La mia guerra.
Fuggivo da un po’, l’aereo, la partenza mi sembravano un buon nascondiglio.
Ma mi trovò.
Era proprio lì, al mio primo ingresso a casa.
La mia guerra, quella tra le ossa e le mie mutande
quella tra l’armadio e una camicia a righe.
*
*
Un sottile strato di nostalgia s’appoggia su di me
come l’umido di Romagna impregna la maglia, l’erba, la bottiglia.
Ripercorro strade che non facevo da un anno
e così lì nel mezzo spunti tu
con una bici carica di spesa colorata.
Io ti seguo con lo sguardo, sono appagata, stordita.
Sorrido.
Poi, si spengono le luci.
Sparito.
Nel buio, la tua mano diventa la mia.
*
*
Hai presente quando stai imparando una lingua?
Metti insieme pezzi di parole
il significato non c’è,
la capacità di traduzione è mediocre,
Lo costruisci l’intuizione,
ricostruisci il senso, come nella poesia.
La poesia è un testo incomprensibile, parla un’altra lingua.
Intima, che diventa un’altra lingua.
Chi legge, avverte lo scollamento, l’errore, il bisogno di riparazione
che era nell’altro e che adesso è in lui.
Ricostruire il senso per necessità, non per correzione.
Non lo so, scusami. Mi sfugge davvero la mano.
Non provare a capirci qualcosa. Non servirebbe.
*
*
Carlotta Canale è nata a Palermo nel 1990 e queste sono le sue prime poesie pubblicate. Ha compiuto i primi studi universitari a Bologna (Dams) e lì sta proseguendo per la laurea magistrale. I suoi interessi maggiori sono la danza e la musica, in ogni forma. La sua scrittura colpisce per la precisione, per una certa spigliatezza narrativa e confidenziale che irretisce e incuriosisce il lettore, portandolo a sé. Le immagini sono tratte dal quotidiano e si presentano con un nitore e una freschezza che eludono ogni compiacimento. Il tono colloquiale non deve però ingannare e far pensare a un atteggiamento già consolidato, anzitutto perché questa è una poesia che rifugge gli atteggiamenti e mira a presentarsi in una sua nudità, in una sorta di «grado zero» all’insegna della necessità e dell’onestà. A differenza di molti suoi coetanei o fratelli maggiori, Carlotta Canale predilige l’antiletterarietà: sarebbe difficile, e forse improprio, stabilire la rete delle sue ascendenze. La sua curiosità si accompagna all’esercizio del gusto, lettura e piacere procedono di pari passo indipendentemente da ogni forzatura: la sua indipendenza è assoluta, così che questa poesia si riannoda intorno al vissuto e intorno a una sua privatissima costellazione di autori che non si impongono necessariamente come modelli. Ne viene quell’effetto di sorpresa o di apparente facilità, che ancora una volta non deve fuorviare: la chiarezza non è mai un punto di partenza, ma una conquista continua. Lo aiuta a capire la terza poesia, una sorta di lost in translation che vale un piccolo saggio di poetica: in ogni caso, il senso è qualcosa che va ricostruito. Nulla è dato per scontato, e questa tensione, neppure troppo sotterranea, è il dato che conferisce forza alle immagini e le sottrae all’inganno dello scatto fotografico. La mano che sfugge porta con sé il lettore nei territori stratificati e indefiniti dei significati che possiamo ritrovare anche nei gesti minimi, nella consapevolezza di un ritorno, tra gli abiti in un armadio: come un’esistenza apparentemente dismessa, che ci attende e si ravviva a ogni nostra nuova apparizione.