#1Libroin5W.: Paola Marchese, “Le viti del tempo”, ALGRA.

#1Libroin5W

 

Chi?

Un vecchietto senza nome, un eroe improbabile, un orologiaio sprovveduto: ecco il protagonista che tiene le fila della nostra storia. Un omino piccolo e canuto che fino a poco prima ha soltanto girato viti di orologi per aggiustarli, si ritrova improvvisamente catapultato in un’avventura epica per “salvare il tempo”. Ma non sarà da solo. A lui si unirà una combriccola apparentemente male assortita formata da un bambino (a sua volta senza nome) che cerca la strada di casa e un trio di formidabili felini come guide spirituali dei nostri avventurieri. Ad aiutarli a salvare il mondo dalla maledizione del “MAI” ecco anche una fatina eterea ma decadente, lo Spirito dei Ricordi, che avrà il compito di mettere i nostri eroi sul giusto cammino.

Cosa?

Il fulcro attorno al quale gira tutto il racconto è l’importanza del tempo, prezioso più dell’oro, poiché fugge senza ritornare più, dunque, deve essere impiegato nel modo più proficuo. Ma si affrontano temi profondi come la complessità dei rapporti umani che, come gli orologi rotti, è bene tentare di riparare invece che buttarli via non appena non funzionano più. Troviamo anche l’importanza della trasmissione del sapere, il rapporto tra gli anziani (con il loro prezioso bagaglio di esperienze) e i bambini (oggi sperduti nel labirinto del caos moderno, che potrebbe essere il web, ma anche il ramificarsi dei rapporti sempre più complessi e allargati che portano alla solitudine dell’individuo). Un altro punto inerente al tempo è il suo trascorrere inesorabile che, però, non deve fare paura: le rughe sono i segni delle nostre esperienze e non dobbiamo vergognarcene ma dobbiamo, anzi, valorizzarle. Il passato, il presente e l’avvenire (incarnati nei tre gattini) ci accompagnano sempre e ci guidano per il giusto cammino grazie a quello che il viaggio stesso ci insegna consegnandoci un bagaglio di esperienze utili per andare avanti. Infine, la meravigliosa tragedia della vita che va avanti: purtroppo, a volte, per poter andare avanti e proseguire il proprio cammino personale, è necessario lasciare qualcuno indietro ma senza mai perdere il bagaglio di ricordi che ci è stato trasmesso. In fondo la trama, il classico viaggio avventuroso alla ricerca di una maniera per fermare il cattivo di turno, non è che una scusa per guardarsi dentro e dare il giusto valore a se stessi, a chi ci sta accanto, a chi ci ha preceduto e al compito che abbiamo nel mondo.

Quando?

La nascita di questo libro è stata quasi casuale, tra un impegno e l’altro, in un attimo di stasi, di riflessione. La genesi risale a più di due anni fa, e il tempo impiegato per la stesura è stato veramente brevissimo. Un flusso di pensieri, più che una storia vera e propria, che hanno preso forma mentre riflettevo su temi molto importanti al giorno d’oggi. Piccola postilla relativa al tempo narrativo. Il racconto è narrato tutto al presente. Non è un caso, è una scelta ponderata: come si può parlare dell’importanza del tempo senza vivere il momento più importante? Il presente!

Dove?

La storia è metaforicamente nata in una piazzetta “ideale” (che viene citata proprio all’inizio del testo) che in realtà è un ricordo della mia infanzia. Questa piazzetta ha un nome, esiste o, meglio, esisteva, era il luogo in cui sono cresciuta da piccolina, ho giocato, ho passato tanti miei pomeriggi e (ve lo rivelo) si tratta della piazza Vincenzo Bellini di Catania, dove sorge l’omonimo teatro Massimo. Da adulta, ritornando a quei ricordi, mi sembra quasi un ambiente da sogno, ma soltanto perché ora è tutto cambiato. Le botteghe artigianali non esistono più, a parte una soltanto che è l’ultimo avamposto di un passato che non ritorna più: la cesteria. Ma prima c’erano anche: il bottegaio che aveva di tutto un po’, il salumiere, il panettiere, anche un piccolo consorzio agrario, la profumatissima bottega dei detersivi, le biglietterie dei bus extraurbani. Tutti ricordi che rivivono vividi nella mia mente e da cui sono partita per affrontare il viaggio di questo testo. Perché la memoria è uno dei pilastri della nostra vita, personale e collettiva. Oltre il luogo “metaforico”, mi piace sottolineare anche il luogo “fisico” in cui ha preso forma il manoscritto, perché mi fa piacere: accompagno spesso mia figlia (oggi decenne) agli allenamenti di calcio, tre volte la settimana, e spesso rimango lì ad aspettarla. Nelle attese ho preso semplicemente in mano un quadernetto (che porto sempre con me perché sono ancora una nostalgica e la prima stesura deve essere a mano) e ho scritto.

Perché?  

L’idea è nata perché desideravo ricordare la figura di mio padre, ma non in quanto tale, proprio come artigiano (era, appunto, orologiaio), come appartenente a quelle categorie che stanno scomparendo e che dovrebbero essere, invece, tenute in vita dalla memoria di chi resta, degli ultimi che ancora riescono a ricordano la vita semplice di soli alcuni decenni fa. Semplicemente questo. Ho pensato che un racconto fantasy potesse essere un buon compromesso per non scadere nel patetico e allo stesso tempo una via che potesse veicolare con efficacia dei messaggi importanti senza essere troppo pesante.

scelti per voi

pp. 13-15
Un giorno, sull’antica piazza si raccolgono in cielo delle nuvole nere, basse e minacciose. Un vento spettrale soffia tutt’intorno, costringendo i bottegai, inquieti e infreddoliti, a chiudere le porte e a serrarsi dentro.
All’improvviso, nella piazza appare un omone grosso e rubicondo tutto vestito di nero. Ha degli occhietti piccoli e maligni e si guarda intorno con uno sguardo bieco, in cerca del suo obiettivo. Attraversa la piazza con passo lento, portandosi in giro la sua pingue figura come un pesante fardello. Punta con decisione alla porta della bottega dell’orologiaio. Sulla sua faccia aleggia un ghigno inquietante.
Quando spalanca la porta della bottega, d’improvviso tutti gli orologi tacciono all’unisono. Il tempo rimane sospeso e riecheggia un silenzio assordante. L’orologiaio, inquieto, alza la testa dal bancone e guarda l’uomo che con la sua mole copre tutta la luce che entra da fuori.
Si squadrano per lungo tempo.
L’omino sapeva che quell’infausto messaggero sarebbe infine venuto, ma non si è mai pronti.
«Buongiorno», dice l’uomo misterioso.
Ha una voce flebile e stridula, un tono cantilenante. L’orologiaio lo guarda senza rispondere.
«Sai perché sono qui».
Non è una domanda.
L’orologiaio tace, guardandosi attorno. I suoi orologi sono ancora fermi, immobili, sospesi in quel momento d’attesa fuori dal tempo.
«Il tempo sta per scadere».
Stavolta l’omino ribatte, con sicurezza:
«Il tempo non può scadere, non ha fine».
«Dipende».
«Da cosa?».
«Da te».
L’orologiaio sembra perplesso ma resta in ascolto.
«Sei l’ultimo uomo in grado di permettere a tutti i meccanismi del tempo di rimanere in moto, ma la maledizione del “Mai” pre¬sto si abbatterà su questo mondo e, se non riuscirai a fermarla, perderai tutti i ricordi della tua vita e insieme ai tuoi ricordi sparirà anche la possibilità di restituire il tempo alle persone».
Un brivido gelido attraversa la schiena del vecchio orologiaio.
Il destino del mondo è nelle sue mani e questa volta dovrà combattere contro il tempo, che è sempre stato suo amico, per salvare il futuro di tutti.
«Quanto tempo ho?».
«Domani a mezzanotte tutti gli orologi del mondo si fermeranno. Se non riuscirai a ritrovare il Fiore del Tempo Perduto, non ripartiranno più e l’umanità intera sarà schiava del “Mai” e si risveglierà in un mondo buio, triste, privo di sogni e della speranza del futuro».
Il bieco uomo in nero sparisce in una nuvola di fumo e gli orologi tornano a ticchettare, confortanti.

pp. 21-23
Il piccolo avanza fino alla luce. È un bambino di nove o dieci anni bassino, paffuto, con corti capelli castani tagliati a spazzola. Indossa una semplice t-shirt bianca con un piccolo stemma che l’uomo non riconosce e degli shorts di blue jeans. Tiene la testa bassa e lo guarda di sottecchi.
«Chi sei?».
Il fanciullo lo guarda direttamente negli occhi, ancora più smarrito.
L’orologiaio ripete la domanda.
Stavolta il bambino risponde con una vocina impercettibile.
«Non lo so. Un tempo avevo una famiglia ma i miei genitori erano troppo indaffarati con il loro lavoro e hanno finito col trascurarmi. Mi hanno dimenticato e da quel momento anche io ho dimenticato chi sono».
«E cosa fai qui?».
«Una notte mi sono addormentato e al risveglio mi sono ritrovato quaggiù».
L’uomo indica i tre gatti.
«Sono i tuoi gatti?».
«No. Loro si chiamano Ieri, Oggi e Domani. Li ho incontrati qui».
«E come fai a conoscere i loro nomi?».
Il ragazzino si stringe nelle spalle.
Attimi di interminabile silenzio.
«Da dove sei venuto?».
Il ragazzino indica col dito un punto della grande caverna e l’orologiaio finalmente scorge un varco nella parete. In quello stesso istante i tre felini, dopo essersi strofinati sinuosamente nelle loro gambe, si dirigono verso l’apertura.
L’uomo li guarda, guarda il bambino e poi gli tende una mano dicendo:
«Andiamo».

pp. 45-47
Il vecchio sente l’eccitazione crescere dentro di lui. Ora sa cosa deve fare. Si volge verso il bambino che sta ammirando con occhi lucidi tutto ciò che ha intorno.
«Ti piacerebbe imparare il mio mestiere?».
Il bambino, commosso, non riesce a parlare. Semplicemente annuisce, emozionatissimo. Immersi nel mondo delle viti del tempo, i due non si accorgono dello scorrere vertiginoso delle ore. Sembrano proprio un nonno e un nipotino che recuperano tutto il tempo che hanno perduto insieme.
Ma un cigolio sinistro li desta dal loro sogno: dalla porta si è infilato il gatto nero che li guarda con insistenza.
Il vecchio sente il cuore accelerare i suoi battiti.
«Oggi ci aspetta».
Stavolta il bambino non fa domande. Ha capito.
Il gatto nero li sorpassa e si insinua in un piccolo uscio che si apre sulla parete opposta alla porta d’ingresso: mimetizzato tra pendole e mobili, era rimasto nascosto alla loro vista fino a quel momento.
Dallo spiraglio lasciato dal gatto si intravede una forte luce.
Il bambino segue il gatto e spalanca la porta, poi si volta, udendo un forte rumore.
Mentre Ieri sgattaiola via dall’apertura, il ragazzino vede che il vecchio orologiaio si è fermato al centro della stanza: è immobile e il suo sguardo sembra assente. Un’angoscia incomprensibile lo pervade. Fa per tornare indietro ma Domani, il gattone rosso, si insinua tra i suoi piedi, strusciandosi.
Il ragazzino non riesce ad avanzare e si rivolge all’uomo dal punto in cui si trova:
«Che succede? Andiamo!».
Ma l’uomo non si muove.
Calde lacrime iniziano a pungergli gli occhi. Vede Oggi fermo accanto al vecchio.
«Che succede?!».
Quasi urla, riesce a districarsi, inciampa sul gatto e cade disteso ma cerca di rialzarsi per raggiungere il vecchio.
Il gatto nero lo osserva minaccioso e all’improvviso il bambino sente una voce nella sua testa.
«Non puoi tornare indietro».

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