#1Libroin5W.: Renato Fiorito, “Sortilegio”, Terra d’ulivi edizioni.

#1Libroin5W

 

Chi?

Ci sono uomini e donne che vivono accanto a noi, nelle nostre città, e che, tuttavia, nessuno vede: ombre, mendicanti senza casa, senza prospettive, rassegnati o incattiviti dall’emarginazione e dalla solitudine. Questo romanzo parla di loro, con le radici affondate nella realtà e i rami protesi nel cielo della poesia. In questo senso “Sortilegio” è un libro d’amore, riconoscendo umanità e valore a tutte le persone, indipendentemente dalla loro condizione economica, e considerando lo stato di bisogno non un disvalore ma un punto di passaggio incidentale nel labirinto della vita, una casualità che non discende necessariamente da colpe o incapacità. Il mito della competizione, esaltando oltre misura il valore del vincitore, tende invece a nascondere l’altra faccia della medaglia, quella oscura e vergognosa della condizione in cui sono costretti a vivere quelli che la gara della vita l’hanno persa, essendo mancata loro la qualità, la determinazione o, semplicemente, l’opportunità per affermarsi. Di costoro, nell’accettazione acritica del libero mercato, si preferisce non parlare, addebitando a loro e non alla spietatezza del sistema il fallimento. Verghianamente si potrebbe affermare che il progresso, per essere più rapido, deve necessariamente abbandonare un certo numero di persone al loro destino e disinteressarsi delle loro sofferenze. Tuttavia io penso che la sconfitta sia parte integrante e quotidiana delle nostre vite e rimuoverla a tutti i costi significa rinunciare a una parte preziosa della nostra umanità, anzi, prendendo in prestito le parole di Malaparte, potrei dire che l’uomo è accettabile solo nella sofferenza e nel dolore e non quando siede tronfio e arrogante sul trono della sua superbia.  

Cosa?

“Sortilegio” racconta di una Roma a due facce: una, della ricchezza e del successo che vive la sontuosa bellezza della città e l’altra, segreta e nascosta, che sopravvive nell’emarginazione e nel degrado, ignorata e dimenticata dai più. Al centro di tutto si dipana un duplice sortilegio: quello ai danni di un pittore squattrinato che vede la sua vita sconvolta dalla inquietante predizione di una vecchia mendicante e quello dell’indifferenza e del cinismo che avvolge la città e le impedisce di vedere i suoi mali. La narrazione alterna storie di emarginazione a quelle di ordinario potere che però non restano separate per sempre, incaricandosi il destino di intrecciarle in maniera imprevedibile, quasi a dire che non basta chiudere le porte del cuore per mantenere fuori dalla vita il male e il dolore.

Conosceremo così da vicino le vicende di Sandro Lopez, pittore geniale e disperato, abbandonato dalla sua donna a causa dell’indigenza in cui si è ridotto a vivere, di Gennarino chitemmuorte che, umiliato dal padrone, reagisce con un atto violento e disperato; di Asso, ossessionato dall’idea di vendicarsi dell’uomo che un giorno, per punirlo, gli aveva tagliato un dito, e seguiremo le delicate storie d’amore di Metronio, professore di latino che non vuole più ricordare, per Gloria, suonatrice di violino, che, abbandonata dal suo amante, non ha più smesso di aspettarlo, e dell’etiope Hassad per Sabrina, una dolce ragazza cieca che ha perso i genitori. Una folla cenciosa e senza identità si trasforma così, man mano che il racconto prosegue, in uomini e donne con la loro umanità e le loro passioni, intrecciate e confuse con quelle del mondo, che commuovono e fanno sorridere, ma che soprattutto ci spingono a capire di più e condannare meno questo piccolo universo dimenticato.

Quando?

L’idea che apre il libro e ne segna lo svolgimento nacque qualche anno fa a Milano mentre passeggiavo per via dei Fiori Chiari, una elegante stradina nel cuore di Brera, dove di sera si affollano i turisti e si raccolgono artisti, musicisti e indovini in cerca di clienti. Quella volta fui attratto in particolare da un giovane egiziano che lasciava cadere su un tavolino una manciata di conchiglie ricavando dal modo con cui esse si disponevano auspici sul futuro delle persone che gliene facevano richiesta. Era così abile nell’intuire la condizione e i desideri dei suoi interlocutori che mi sembrò che essi ne restassero fortemente impressionati. Allora pensai che in fondo ognuno di noi porta, senza saperlo, disegnato sul volto il proprio destino e che qualsiasi osservatore un poco più attento sarebbe in grado di intuirlo. Così mi proposi di scrivere un racconto su questo intrigante argomento, racconto che poi si è lentamente arricchito delle molte storie che mi portavo dentro, trasformandosi in questo romanzo.

Dove?

Protagonisti di Sortilegio sono i senza tetto che incrociavo ogni giorno tra Via Nazionale e la Stazione Termini per recarmi al lavoro. Figure di vecchi disperati che sostavano nei giardinetti davanti alla Stazione o in fila alla mensa della Caritas diocesana, o che stendevano i loro cartoni sulle grate dei negozi del centro per rubarne il calore nelle notti d’inverno. È nato così questo libro di cronaca minima, schierato dalla loro parte per contrastare il silenzio, il disinteresse, la paura che circonda queste persone. Un romanzo che non contiene istanze politiche né ha la scientificità di un’indagine economica ma che germina da un moto di imbarazzata pietà e sollecita emozioni e empatia che, secondo me, vengono prima di ogni ragionamento, prima della politica, prima dell’economia poiché, in loro assenza, nessun atto di solidarietà è davvero possibile.

Perché?

Questo romanzo è la cosa più bella, fraterna, umana che abbia scritto. Esso non prospetta soluzioni possibili, ma adombra un riscatto umano che riguarda tutti noi, una modificazione nel modo di considerare il mondo, il desiderio di riscoprire le ragioni profonde del vivere insieme per rendere meno feroce ed escludente questo tempo. Nella Napoli del 700 Carlo III di Borbone decise di costruire, per dare asilo ai senza tetto, il più grande albergo dei poveri d’Europa. Oggi, dopo 300 anni di progresso e benessere crescente e di sempre maggiore democrazia e libertà, il rispetto per la dignità umana è ancora in attesa sulla porta di quell’albergo mai finito perché lo Stato democratico, nonostante i limpidi principi costituzionali, ignora ancora il diritto alla sopravvivenza dei suoi cittadini più deboli. La povertà assoluta non è purtroppo ritenuta una ragione sufficiente per fornire aiuto, ma un motivo per scacciare e perseguitare i bisognosi. Essa è diventata una colpa sociale e l’indigenza considerata la giusta punizione da riservare a chi non è stato in grado di prevalere. Ogni sera a Parigi passa un pullman che raccoglie i clochard e li porta in ostelli destinati al loro ricovero. I vetri di quel pullman sono oscurati affinché i poveri non si vedano e la città mantenga un aspetto pulito e decoroso. Anche le auto dei potenti che sfrecciano per le nostre città a sirene spiegate, a pensarci bene, hanno vetri oscurati, e non so se sembri anche a voi che ci sia qualcosa di paradossale e inquietante in questa coincidenza, una sorta di ammissione che miseria e potere abbiano entrambi un aspetto vergognoso che è meglio tenere nascosto. Perciò, quando nel raccontare le vicende di questo libro, ho scelto di alternare le vicende di questi due mondi lontani e inavvicinabili mi è sembrato di ridurre ogni cosa ad unità e fornire una possibile risposta a questo intimo disagio, lasciando a un lettore reso più consapevole il compito di giudicare quale di questi due universi fosse più infelice.

scelto per voi

  

Il Presidente si diresse verso le persone più vicine a stringere le mani protese.

Fu in questa atmosfera distesa ed entusiasta che un vecchio miserabile con un lungo cappotto nero, molto più grande di lui, e un’ispida barba grigia gridò dal fondo della strada, con una voce profonda da basso: “Chit’emmuorto, pienze sule ‘e cazze tuoie!”.

Il Presidente si girò nella direzione da cui proveniva la voce e per un attimo smise di sorridere. Alcuni carabinieri si precipitarono verso l’uomo che aveva gridato e lo spinsero bruscamente in un angolo della piazza dove lo identificarono: Gennaro Perrone, nato a Napoli il 6 maggio del 1960.

“Dove abiti?” gli chiesero.

“Non lo so”.

“Come non lo sai!”.

“Quando mi darete una casa lo saprò”.

“Senza fissa dimora?” chiese il carabiniere per accertarsi di aver capito bene.

“No senza fissa dimora” rispose Gennarino.

“E allora?”.

“Senza dimora e basta, né fissa né mobile”.

Quando si accorsero che si trattava di un povero barbone, un po’ sbalestrato forse, ma sostanzialmente innocuo, che stava facendo solo perdere tempo, lo lasciarono andare.

Diceva di chiamarsi Metronio. Non portava altro con sé che quel nome inventato. Non ricordava più come aveva perso ogni cosa. Quando tutto era franato, non lo sapeva. Un giorno si era ritrovato solo, senza casa, senza denaro, smarrito tra i vicoli di una città sconosciuta. Ricordava Carmen, si questo lo rammentava, e ricordava che una sera non era più tornata, ingoiata dalla notte e dal mistero. L’aveva cercata, chiamata al cellulare ma non aveva risposto.  Aveva chiesto a tutti quelli che conosceva, era andato in tutti i posti frequentati da lei, ma nessuno ne sapeva niente. Infine la notte, preso dal terrore, era uscito per strada e si era messo a gridare il suo nome, e i passanti si erano allontanati in fretta, tanto quel grido disperato aveva fatto loro paura, finché non era arrivata la polizia e lo aveva portato via.

Gloria non rispose. Respirava leggera e fu presa da un sonno sereno. Metronio la guardò e la trovò bellissima. Dio mio, ma cos’è la bellezza? Quanta strada bisogna percorrere per poterla riconoscere, la bellezza? Quante cose debbono accadere prima di saper vedere la bellezza, quella vera, che va oltre la scorza volgare delle apparenze, dei vestiti eleganti, dei volti truccati, dei corpi curati nelle beauty-farm, delle pelli abbronzate da lampade artificiali, delle rughe stirate da bisturi impietosi. Quanto bisogna soffrire, e amare, e vivere, prima di capire la bellezza, scartando la paccottiglia, le esibizioni arroganti, il lercio della ricchezza? 

Guardò Gloria, i bianchi capelli, il fiore della malinconia che la vita aveva fatto maturare sul suo viso, la rete delle rughe agli angoli della bocca, sulle guance e sulla fronte. Vide Gloria, distesa sulla nuda terra, con il vecchio cappotto grigio che le aveva messo addosso e le piccole mani che tanta musica avevano saputo trarre dal suo violino, e la trovò bellissima.

 

*

Renato Fiorito (in copertina nella foto di Daydream Studio) è laureato in Economia all’Università di Napoli ed è stato dirigente della Banca d’Italia. Scrittore, poeta e animatore culturale è autore delle raccolte: “Andante con pioggia” (Terra d’ulivi edizioni – 2019), classificato 2° al Premio Albero Andronico 2020); “Andromeda”  (Ladolfi editore – 2017) vincitore del Premio “Terre di Liguria 2018”); “La terra contesa” (2016 – Puntoacapo Editrice) – premiato alla IV Edizione del Premio “Sulle orme di Leopold Senghor”; “Legami” (2015 – Lepisma Edizioni), le cui poesie sono state molte volte premiate.  Sue poesie sono presenti inoltre su riviste italiane e straniere e sono state tradotte in diverse lingue ricevendo numerosi premi e riconoscimenti tra cui i seguenti primi premi:  V Edizione del Premio Internazionale di poesia ”Di verso in verso”; IV Edizione del Premio Letterario Internazionale di poesia “Priamar”; I Edizione del Premio di poesia “Pingaria”; XII Edizione Premio letterario internazionale “Città di Martinsicuro”.

In narrativa è autore del romanzo “Tradimenti” (2009 – 0111 Edizioni) – 3° alla IV Edizione del Premio “Città di Recco” e 3° alla XII Edizione del Premio “Val di Vara”) e di “Sortilegio”, qui presentato. Ha fondato e gestisce il blog letterario “La Bella Poesia” www.labellapoesia.info e fa parte del Comitato di redazione della Rivista quadrimestrale internazionale di cultura poetica e letteraria “Menabò”. A partire dal 2012 è stato Presidente del Premio Internazionale di Poesia Don Luigi Di Liegro, indetto dalla Fondazione Di Liegro. Per la sua attività culturale è stato premiato nel 2014 a Castagneto Carducci al Premio Internazionale di Poesia “Dal Tirreno allo Jonio” indetto in onore del poeta Giosuè Carducci”. 

Potrebbero interessarti