“Agata, Vergine e Martire”, la forza morale del “dramma” scritto da Pino Pesce.

Prodotto dal Comitato ai Festeggiamenti a Sant’Agata, di cui è Presidente Riccardo Tomasello, lo scorso 3 febbraio, al Teatro “Sangiorgi” di Catania, con un pubblico caloroso e sold-out, è andata in scena “Agata, Vergine e Martire”, una sacra rappresentazione di Pino Pesce, docente di Materie Letterarie e critico teatrale che, negli ultimi anni, si è rivolto al teatro come régisseur riscuotendo sempre un grande successo per le sue innovazioni multimediali mai fuori dalla sensibilità e cultura popolari. All’autore-regista, abbiamo fatto qualche domanda sullo spettacolo.

Com’è nata l’idea? 

Dall’invito, sul finire di ottobre 2019, a scrivere un dramma religioso su Sant’Agata da parte del Presidente ai Festeggiamenti alla Patrona della Città etnea, Riccardo Tomasello. Ho avuto veramente qualche perplessità iniziale, pensando al tempo ristretto: tre mesi soltanto fra scrittura, ricerca degli artisti, prove che non sarebbero state certamente facili per come mi si affacciava l’impostazione scenica, la quale prevedeva già attori, ballerini, coro (alla fine due, uno di adulti con il coro Lirico Siciliano, diretto dal maestro Francesco Costa, l’altro di voci bianche con i ragazzi della Scuola Media “Quirino Majorana” di Catania, diretto dalla prof.ssa Norma Viscusi) e video; insomma un lavoro multimediale pieno di misticismo, pietas, credenze ancestrali e riflessioni eticoreligiose.

Cosa desidera donare allo spettatore?

Il mio desiderio maggiore sta proprio nelle “riflessioni” citate per ultime, le quali, attingendo dalla storia e dalla voce popolare, vorrebbero svegliare e scuotere gli spettatori; in particolare quelli giovani che trovo sempre più smarriti e senza punti di riferimento forti e virtuosi. La forza morale e religiosa del dramma lo testimonia.

Quali sono le peculiarità di questo plot?

Già le suddette riflessioni sono una peculiarità; altre starebbero nel proporre l’attualità della sofferenza e del dolore come qualcosa di non esorcizzabile nel drammatico e misterioso cammino umano. Da qui spunti manicheistici e medievali che filtrano attraverso la “provvida sventura” manzoniana, latente ma molto potente. Certo è che si produce con un’apparente coscienza quando invece il vero motore è sempre nascosto, proprio come nei sogni! Aggiungerei poi che mi è piaciuto racchiudere la vicenda in una cornice fuori dal tempo della storia e della leggenda: ad apertura, infatti, appare il personaggio Mario Rapisardi che recita l’Ode a Sant’Agata per il 5 febbraio 1859; a chiusura (dopo l’apoteosi di Agata), il tradizionale Inno a Sant’Agata di Rosario Licciardello eseguito dal Coro Lirico Siciliano e dalla Schola Cantorum del “Majorana”.

Il dramma religioso è stato portato in scena con circa cento artisti; fra i quali hanno dato grande prova professionale gli attori protagonisti: Verdiana Barbagallo (Agata), Giuseppe Parisi (Quinziano), Pasquale Platania (Narratore); ma bravi anche Nino Spitaleri (Mario Rapisardi e Vecchio), Jakov Greebe (San Michele Arcangelo), Gabriele Ricca (Lucifero), Tania Marino (mamma di Agata), Laura Miano (danzatrice); poi: Rasheed Bello, Luca Sinatra, Salvo Gambino, Pippo Ragonesi. E poi ancora una trentina di ragazzini e ragazzi del Centro Professionale Danza Azzurra di Belpasso, diretto dal coreografo Alfio Barbagallo che eccellentemente ha curato le coreografie. Molto coinvolgenti il sabba attorno ad Agata sulla fornace e lo scontro fra l’arcangelo Michele e Lucifero. Liliana Nigro ha curato parte degli abiti di scena (Agata, Quinziano, Madre di Agata, Arcangelo Michele, Lucifero, i 2 Soldati); il resto è stato curato dal suddetto Centro di Danza. Foto di Pietro Nicosia.

Agata sulla fornace e sabba, ph Pietro Nicosia
Agata in preghiera, ph P. Nicosia
Arcangelo Michele ed agata, ph P. Nicosia
Scontro tra San Michele e Lucifero, ph P. Nicosia

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