L’antro della Pizia
Fu prima un odore a svegliarmi a metà: di muffa alcolizzata e di scroto allergico al sapone.
Finché un sussurrare catastrofico e rabbia espressa da un cencio di lingua mi destarono del tutto.
Riconoscendolo senza necessità di vederlo bofonchiai, Vattene.
Lui, capace di insinuarsi dappertutto senza possedere chiavi, sedeva su una mia sedia a tre gambe, mantenendo un equilibrio agile a pochi.
Perché mi scacci?,
Perché sei un molesto corruttore della mia sana pigrizia di neuroni ai quali oggi tengo particolarmente,
Sono mite, non vedi? Ieri mi hanno mitragliato il caro buffoncello cervellino con altra elettricità. Stolti, vi aggiungono furore, mite? Mite il Re Antonin Artaud? Mai!,
Perché sei venuto proprio da me? Ti colpisca la lebbra!,
Non sono qui per te, finiscila di essere egocentrica; mi interessava la sedia: avevo voglia di scoparmela come fosse mia madre,
Resterai pazzo per l’Eternità,
E tu banale. Pazzo: me lo dicono tutti. Studiano accaniti l’opera scritta da un cerebroleso per godersi la propria erezione posticcia,
Provochi di proposito, pagliaccio!,
Non mi cadrai proprio tu in un attacco epilettico di moralismo! Sono venuto in visita apposta per trovare il contrario, perché da rara perla quale sei capisci in me l’assenza di finzione. Adesso non mi menare il cazzo!
Soffro sapendo d’essere identificato come un millantatore. Nessuno intuisce quale sempre gravida maledizione sono per me stesso. Quella di essere troppo zuppo di pensieri morbosi accostati ad altri romantici, di sapere e volere odiare in maniera sublime, tanto da voler strappare qualche paio d’occhi e, e e contemporaneamente di amare una rosa, vietandomelo perché soffro la sua esistenza perfetta.
Le mie notti non si addormentano mai, i giorni gridano la solitudine da tutti voi: non trovo un qualsiasi pezzo di merda simile a me,
Sei tra gli scrittori più infelici che io abbia incontrato nei secoli, perché il dolore non hai mai voluto assecondarlo o fartelo curare: l’hai afferrato per le corna,
Tutto è stato fatto inconsapevolmente e sono rimasto comunque incornato,
Hai lasciato a noi delle meraviglie inimitabili,
Me ne fotto, vuoi vedermi l’ano in profondità?,
Mentire ti viene male, dillo a testa alta che non è da tutti essere immortali,
Il corpo si polverizza, l’anima non esiste, dove sarebbe l’immortalità?,
La Letteratura resta, caro Antonin.
Oh, la Letteratura: sfiati dai buchi di culi di vacche moribonde!,
Può essere la migliore, le Letterature sono infinite, caro Antonin, ascoltami e bada a non cadere dalla sedia “E se non capite l’immagine/ – ed è ciò che vi sento dire/ in tondo,/ che non capite l’immagine/ che è nel fondo/ del buco della mia fica, -/ è che non conoscete il fondo/ non delle cose,/ ma della mia fica/ la mia,/ anche se dal tempo dei tempi/ voi ci giravate intorno/ come si sbraita un’alienazione,/ e si complotta a morte una incarcerazione…
…nel grasso
di un paradiso
di cui il primo ingannato sulla terra
non fu né il padre né la madre
che in quell’antro ti ha rifatto
ma
IO
avvitato alla mia follia.
Antonin, che ne pensi?
Magnifico, geniale!, potenza temporalesca, terremoto dal profondo delle viscere merdose perduta la stitichezza!: l’hai scritto tu?,
No, l’ha scritto Artaud.