Antonio Fiori, “La stessa persona”, lo sguardo interiore e lenitivo della poesia.

“tre domande, tre poesie”

 

Antonio Fiori è nato a Sassari nel 1955. Laureato in giurisprudenza, ha lavorato nell’amministrazione finanziaria e nel settore bancario. Nel 2004 è tra i sette poeti vincitori per la silloge inedita al Premio Montale Europa e nel 2019 ha ricevuto il riconoscimento ‘Per una vita in poesia’ al Premio Lorenzo Montano. Ha pubblicato: Sotto mentite spoglie (Manni, 2003), La quotidiana dose (Lietocolle, 2006), Trattare la resa (Lietocolle, 2009), In merceria (Carlo Delfino, 2012), Nel verso ancora da scrivere (Manni, 2018), I Poeti del sogno. Piccola antologia (Inschibboleth, 2020), Vita di un altro (Inschibboleth, 2023). Con peQuod, nel 2024, ha pubblicato La stessa persona. Suoi testi sono apparsi su ‘L’immaginazione’ e ‘Gradiva’. Dal 2015 al 2019 ha collaborato come recensore al mensile ‘Poesia’. È redattore nelle riviste on line Avamposto poesia e Atelier poesia. Collabora inoltre con Menabò, quadrimestrale internazionale di cultura poetica e letteraria.

Qual è stata la scintilla che ha portato il tuo “La stessa persona”, meglio: in che modo la (tua) vita diventa linguaggio?

Negli ultimi dodici anni mi sono occupato quasi esclusivamente della poesia altrui, scrivendo solo pochissima poesia, apparsa sporadicamente su riviste o in rete. Ho scritto infatti decine di recensioni per https://atelierpoesia.it ed interventi tematici sul quadrimestrale Menabò e sulla rivista on line https://www.avampostopoesia.com. Nel 2018, in verità, ho pubblicato un’autoantologia con Manni, che conteneva una scelta dalle mie prime raccolte e qualche testo inedito. Il mio rapporto con la poesia degli altri mi aveva addirittura procurato una sorta di crisi d’identità, che è sfociata nella redazione di una antologia di poeti immaginari (I Poeti del sogno. Piccola antologia, Inschibboleth, 2020) e poi, nel 2023, in un diario romanzesco (Vita di un altro, sempre per Inschibboleth). Avevo dunque bisogno di guardarmi di nuovo dentro, di cercarcare le tracce di quella persona che fino al 2012 aveva scritto la sua poesia. Da queste premesse nasce “La stessa persona”, uscita quest’anno con peQuod, nella collana ‘portosepolto’, con la cura preziosa di Luca Pizzolitto.

La poesia è un destino?

Ognuna delle mille definizioni di poesia racchiude una parte di verità. Possiamo dunque condividere anche questa, che la poesia sia un destino, purché si ricordi che la poesia nasce sempre da una ferita, una ferita che la parola poetica, come un’infermiera, prova a curare. Il vero lettore di poesia legge a sua volta per curare una ferita, la propria ferita. Ed il lavoro su queste ferite dura tutta la vita; la poesia potrà solo lenire i dolori, suggerire un pensiero, evocare luoghi e persone, mai promettere guarigioni (e men che mai la salvezza dell’anima).

Per concludere, ti invito, per salutare i nostri lettori, a riportare tre poesie dal tuo libro; e di queste scegline una per condurci a ritroso nel tempo, a prima della stesura completa o della prima stesura, per raccontarci quanto “accaduto” così da permetterci di condividere (e meglio comprendere) il percorso che l’ha vista nascere (nel contesto del libro che l’accoglie).

Quella che segue è certamente una poesia che ci conduce a ritroso nel senso richiesto, prima della stesura non solo di questa raccolta ma di qualsiasi stesura e di qualsiasi raccolta. Dopo l’esitazione davanti al foglio bianco, la parola tanto anelata, così difficile da reperire, viene finalmente trovata – ma non viene svelata, bensì subito nascosta (per gelosia o pudicizia, chissà) grazie all’uso dell’inchiostro bianco.

 

Onore al bianco del foglio
al silenzio che lo colma
a quest’orlo che taglia.
Onore alla parola da scrivere
al senso che nasconde
al suo apparire viva.
Onore al tuo esitare, al non sapere se dirla
al traboccare dai margini la voglia
di farla nascere, di scriverla.
Amore è scriverla col bianco
inchiostro che la dice e insieme la cancella
che la nasconde a tutti per salvarla
lasciando bianco il foglio
rendendo impossibile trovarla.

(p.10)

 

Seguono due poesie emblematiche della raccolta, a metà strada tra pensiero teologico e pensiero analitico.

Un desiderio stanco di sentenza
non umana, che dica d’ogni vita
ciò ch’è stata e il suo destino eterno
– prego l’assolva, per l’innocenza
del bambino che un giorno siamo stati
e si sia salvi tutti nell’infanzia lontana.

(p.46)

Chiediamo perdono senza ragione
forse perché affiorano a sera
rimorsi confusi, lontani.

Sentiamo una colpa vaga
ma non ricordiamo niente.

A volte, all’improvviso
piangiamo come bambini
– come chi è innocente.

(p.50)

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