Atlante degli abiti smessi, “la coincidenza quasi impossibile tra limite e perfezione”.

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“Atlante degli abiti smessi”, quarto romanzo di Elvira Seminara, pubblicato da Einaudi nell’ottobre del 2015, è un romanzo in forma di “atlante” che esplora i confini, i limiti, della narrativa romanzesca e aggiunge ossigeno al genere romanzo, allontanandone, in tal modo, la fine. Un genere letterario è vivo fin quando non sono state sviluppate tutte le possibili declinazioni.
Condurrò la mia recensione seguendo lo spirito e, in un certo senso, la lettera della scelta narratologica di Elvira Seminara. Ho evidenziato nel testo alcune “parole-chiave” che ne compongono e connotano la poetica. Le ho incluse in un “lessico essenziale” e alfabetico che è doveroso padroneggiare per avvicinarsi in maniera adeguata all’opera.

Armadio
“Voce per voce, quest’armadio sembra l’indice della mia vita.” “Ogni armadio è come la biblioteca di Borges, il limitato e provvisorio, inesauribile. Lo apri e non riesci più a chiuderlo, si riapre, straborda, ride.”
Di certo l’armadio, che contiene gli abiti smessi, è il correlativo oggettivo dell’io, della coscienza della protagonista e gli abiti, seguendo l’etimologia latina di “habitus”, non sono altro che i diversi stati dell’essere, le diverse “forme” in cui l’io si dispiega. Negli abiti smessi di Eleonora c’è tutto il suo passato, che lei intende consegnare in eredità alla figlia riluttante, ma anche tutto il peso di cui si vuole disfare per vivere una nuova esistenza più leggera e “ristretta”. Gli abiti si indossano e coprono la persona, ne sono quindi i segni che la inverano e la caratterizzano in modo individuale, ma anche le maschere che la nascondono.
Elencarli è, quindi, tentare di mettere ordine, porre un indice al libro della propria esistenza, ma anche tastare con mano l’impossibilità dell’operazione, perché la vita, come la biblioteca di Babele, non si può comprendere in una mappa, è inesauribile e in continua evoluzione e in perpetua usura. L’inventario non può essere consegnato, spedito perché l’umana vitalità “non ha fine, ma solo trama, svolgimento”.

Capolavoro
È la completa corrispondenza tra il romanzo immaginato, inseguito, progettato ed il romanzo realizzato. È il raggiungimento della propria misura di scrittrice. La coincidenza quasi impossibile tra limite e perfezione.

Casa
La piccola casa di Parigi “con piccole grate alle finestre, come nei conventi” e con vista su un parco brulicante di vita francese sarà il teatro della rinascita. Dapprima Eleonora si aggira estranea, svuotata, ma sempre curiosa all’interno delle stanze e dello stabile che osserva come se fosse chiuso in un acquario. Poi, nel giro di una stagione, le figure anonime dei vicini di casa emergono in primo piano e reclamano spazio nella vita della protagonista; alcuni eventi apparentemente minimi sollecitano legami più profondi e la vita di relazione si rimette in cammino. Una nuova vita, più autentica e meno controversa si fa strada.

Cosa
Tutto il romanzo è un atto di amore e compassione zen per le cose. Perfino un inno. Perché le cose non sono solo quello che sono, una semplice presenza oggettiva e denotativa, non sono solo strumenti da utilizzare che ci aiutano a modificare o ad affrontare il mondo, le cose hanno una vita propria, “un’epica”, come tali hanno pudore ad esporsi, si sfaldano se non vengono accarezzate o se non ricevono le giuste cure. Sono perseveranti, tenaci, ma, a volte, si rompono, scompaiono e ci abbandonano.
Come dice Heidegger in una conferenza degli anni Cinquanta, riprendendo un’immagine del poeta romantico Hölderlin, “le cose fanno dimorare presso di sé la quadratura dei quattro (cioè la terra, il cielo, i mortali, i divini). Tale raccogliente far dimorare è l’essere cose delle cose.” Anche se poi è la parola poetica nella sua forza originaria e creativa che (be-dingt) rende cosa la cosa (ding). Proprio quello che succede in questa prosa letteraria particolarmente ispirata e poetica.

Dettaglio
È dall’abilità di identificare in certi dettagli, che sfuggono ai molti, dei significati latenti e potenti, delle analogie inedite che si giudica uno scrittore, dice Edna ‘O Brien in una recente intervista. Ma ci vuole talento, abitudine ed allenamento per vederli. E attenzione, “equa e diffusa compassione” per il prossimo, per il mondo degli altri: persone, animali o cose. Dio è anche in un bottone, afferma Eleonora, riproponendo l’adagio del poeta Rilke, che indica nel “dettaglio divino” la distinzione tra un buon autore e uno mediocre. “L’umanità instupidisce in massa, ma rinsavisce nel dettaglio.” sottolinea Eleonora / Elvira Seminara.
Alcuni esempi: “Le sue borse sotto gli occhi traballano … gonfie di diffidenza.” “Sono vanitosi, gli alberi, li vedo spesso pavoneggiarsi quando c’è il sole e fare la ruota con le foglie aperte.”
Vere e proprie epifanie joyciane, splendide celebrazioni del sacro dettaglio.

Figlia
È a lei che Eleonora spedisce cartoline illustrate con vedute di Parigi senza ottenere risposta, è da lei che fugge, dal suo sguardo che la condanna senza processo per la morte del padre, dal suo sguardo bistrato, dal suo pianto sbavato, dalle sue “lacrime dense e terrose”. È per lei che compila l’atlante degli abiti smessi, per stemperare il rimorso, per rimuovere dalla coscienza il senso di colpa che le ha conficcato con il suo rancore.
La figlia non le perdona di aver fatto “un uso imprudente, sconsiderato della felicità” con un altro uomo e la considera indirettamente colpevole del presunto suicidio del padre. “Ogni suicidio maschera un omicidio – di qualcun altro che non ha saputo evitarlo.”
“Sto bene, non preoccuparti.” Scrive, infine, in una molta attesa cartolina di risposta ed è il laconico segno di svolta (quasi un’assoluzione di una divinità fosca e capricciosa), che attiva la rinascita della protagonista.

L’altro
Davide è un pretesto, “non è stato lui a disamorarmi di tuo padre”, l’amante svagato, giovane e frivolmente pensoso. L’amante perfetto nel ruolo, che appare al momento giusto e sa uscire di scena in modo indimenticabile e da dimenticare, che vince ogni partita perché non ha nulla da perdere e nulla da vincere.

Lingua
Scrittura aforistica: “Lo spreco … è una funzione della giovinezza” ed arguta, elegante e mai banale, metaforica: “la notte è il tessuto che preferisco”, zeppa di analogie insolite e ardite “La tua bellezza impervia”, similitudini originali: “stende sul filo reggiseni grandi come brocche.” Una lingua che adagia l’ovatta dello splendore e della raffinatezza sulle miserie e sulle tragedie dell’esistenza, che vola sempre un po’ più in alto delle bassure che pettina di carezze e rende più sopportabili. Una lingua che cauterizza le ferite e le angosce, che pone un filtro di tra-sognata bellezza sullo sguardo, che incanta e corrompe il dolore. Agile, esatta, leggera nel solco di Calvino.

Lista
Le liste, gli inventari, gli atlanti sono un supporto esterno della memoria e sono indispensabili all’intelletto per raccogliere e controllare il mondo reale, “per conservarlo in porzioni finite”, “per trarlo in salvo”, per mapparlo, per creare dei modelli ideali che servono ad orientarsi. “Non ti scordare … l’efficacia della lista, i promemoria … ogni giorno sono costretta a trarre in salvo il mondo tralasciato.”
Tuttavia, le liste, come tutte le progressioni enumerative, più o meno arbitrarie o sistematiche, annunciano grandezze innumerabili che si approssimano all’infinito e lo promettono. Ciò, dice Umberto Eco, fa provare la verti-gine dell’illimitato, una condizione opposta a quella per la quale le liste sono compilate, richiama il caotico indi-stinto che non si può governare, nel quale “naufragare” può essere più o meno dolce.

Marito
Il filo della trama è esilissimo e traspare in filigrana, negli interstizi vuoti di vestiti, ma pieni di episodi di vita si-stemati dentro l’armadio / libro. Il romanzo matrimoniale si compone per frammenti staccati e ricorsivi, solo col passare delle pagine appare nitido agli occhi del lettore. Dalla furiosa passione l’amore col tempo si perverte in amicizia, in “tristezza sistematica” in quieta disperazione, sopraggiunge il tradimento, il risuonare in orbita con un altro, infine la cacciata dal tetto coniugale.
Eleonora ed il marito hanno caratteri molto diversi, si fronteggiano: lui, un ingegnere idraulico, che ha l’ossessione per il centro, “l’ostinazione a centralizzare anche le cose senza centro” non può non soffrire il carattere scoordinato, mobile, senza fiducia nelle prospettive” di lei. Due persone destinate ad allontanarsi, a scontrarsi ad essere infelici. A nulla vale il puerile tentativo di lei di riappacificarsi.

Nostalgia del futuro
Elvira Seminara, in questo romanzo, si spinge ad immaginare addirittura nuove emozioni. Ma gli scrittori, che sono esploratori dell’esistenza, non inventano, si limitano a dare voce e nome, e non è poco, a ciò che, pur esistendo, non è stato ancora scoperto, detto.
Ne troviamo un folgorante esempio a pagina 114 quando descrive “una nostalgia di ciò che sta per arrivare”, un sentimento che non ha ancora una parola che lo identifica, un sentimento irrelato. La parola non c’è ancora, ma c’è la descrizione e l’ideogramma di una donna seduta, una tazza da the e le lacrime sul vetro.

Parigi
Parigi, la patria dei senza patria, degli apolidi, è il posto giusto per “ricominciarsi”. Ma Parigi è anche, impossibile negarlo, l’universo culturale e letterario entro il quale si iscrive questo romanzo. Hanno tutti avuto a che fare con questa città gli autori che sottendono a queste pagine, dagli esistenzialisti all’Oulipo, alla Scuola dello sguardo, alla nouvelle vague.
“Dovendo rinascere, non c’è niente di meglio di Parigi.” “Parigi è una scena che mi ha visto leggera, dove puoi riavvolgere il nastro o registrarci sopra. E sembra offrire a chiunque un sacco di vite di scorta.” “Perché sei tornata a Parigi? Non è stato peggio? … per trovare te stessa, immagino. Questo no. Dopo tanta fatica – ho detto – spero di trovare di meglio.”

Naturalmente questa è una lista breve, per forza di cose limitata. Altre parole mi vengono in mente anche adesso ripensando al romanzo, ma i tempi sono giustamente contingentati e in ogni caso, come si è detto, ogni lista è per forza circoscritta ed evoca possibilità infinite.

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