S’intitola “Attorno a Van Gogh. Otto pittori e i colori della vita”, è una mostra animata dalla presenza di notevoli esponenti della pittura contemporanea italiana che il curatore Marco Goldin ha scelto per omaggiare il Maestro olandese che, riamato, disse: “Più ci penso, più mi rendo conto che non c’è nulla di più artistico che amare gli altri”. Al San Gaetano di Padova, fino al prossimo 6 giugno, ciascuno con sette opere, insieme a tre eccellenti catanesi Cetty Previtera, Giuseppe Puglisi e Piero Zuccaro espongono Laura Barbarini, Franco Dugo, Attilio Forgioli, Matteo Massagrande e Laura Villani.
“Ho isolato alcuni temi all’interno dell’opera di Van Gogh – dichiara Goldin -. Mi sono guardato intorno, ho rivisto pittori con i quali già̀ avevo lavorato in un tempo passato, altri con i quali invece la consuetudine non c’era quasi mai stata. Li ho scelti perché́ sentivo in loro una vicinanza a quei tempi, a quei canti di parole smozzicate e colori che ti arrivano ancora fin dentro gli occhi. E poi c’è solo l’anima”. Unico il focus Van Gogh per interpretarne ragioni, regioni, riflessioni, ciascuno con il proprio singolare “accento”.
da destra Marco Goldin, Giuseppe Puglisi, Piero Zuccaro e Cetty Previtera.
Cetty Previtera, “ha dipinto la vastità, gli orizzonti, i cieli, le montagne non come un dilagare oltre confine, ma miracolosamente, dentro la bellezza della sua pittura, in un grumo di materia che è poltiglia di ali di farfalla. E in esse, la vibrazione e il silenzio di ore del giorno che si succedono una all’altra”. “I colori delle montagne” è il titolo del suo nucleo di opere.
“Ho dipinto pensando alle montagne di Vincent van Gogh – dichiara la Previtera -. Esse appaiono in tanti suoi quadri di paesaggio, vibranti e cariche di colore. Sono le Alpilles, la catena montuosa che vedeva dal suo ricovero a Saint-Rémy. Cime, orizzonti aguzzi o morbidi, cave, cieli e rocce. Io ho qui di fronte a me il grande vulcano Etna, che è la mia Montagna. Ho cominciato così a osservare il mio paesaggio cercando spunti per legare la visione pura e forte di un pittore grandissimo alla mia pittura. Ho iniziato a scrutare da vicino ogni pennellata di Vincent, la sua pittura che non è un racconto formale, ma è un racconto di ciò che accade ai colori nello stare vicini, nel sovrapporsi, nell’allontanarsi. Ho imitato, per conoscerle, le pennellate, sempre decise e lunghe e dense, di Vincent, le forme, per carpirne il significato in natura. Ho percorso con lui i sentieri dentro i quadri, ho incontrato donne, alberi, covoni, contadini, rocce, cespugli, acqua. Ho dipinto queste montagne raccolta nel mio studio, intervallando la pittura con passeggiate durante le quali ho cercato la possanza, i confini col cielo, l’aria tutta del paesaggio, cercando di vedere come Vincent. Ho trovato persino una punta di montagna, sui Peloritani, tanto simile alla punta del monte Gaussier! Ho preso pezzi dei suoi paesaggi e ne ho fatto scorci nuovi, mi sono data la possibilità di accogliere sulle tele nuove realtà. Ho preso gusto nello stare in quei luoghi. Ho amato stare dentro il burrone, la discesa in quella profondità sicura e accogliente come una madre, un luogo in cui ritrovarmi con le mie cromie spesso indecise e cangianti. Sono stata con Vincent di fronte alle ampie vedute, in mezzo a macchie grandi di colore. Alcune volte questi paesaggi di montagna sono diventati come il mare che vedo da qui, dando le spalle alla Montagna. Sono diventati blu. Mentre dipingevo, leggevo le sue lettere e ci trovavo il suo pensare puro della pittura, fresca e diretta a nient’altro che a sé stessa. Molto spesso ho giocato. Ho trovato che alcuni paesaggi avessero un richiamo giocoso, i colori e le forme alcune volte si sono trasformati in luoghi di spensieratezza. Ho sentito, spesso, il dramma e il gioco della pittura. Il piacere, la necessità e il dolore. Ho inseguito il mio bisogno di astrazione, ho trovato nelle cave e tra le rocce la possibilità di grandi superfici aperte a forme e colori, a punti e linee. Dipingo sempre partendo dalla realtà. Questa volta ho dipinto partendo dalla realtà di Vincent, e l’ho trovata sincera”.
Giuseppe Puglisi, “è sicuramente il pittore italiano che più ha dipinto in questi ultimi anni notti stellate come damaschi d’oriente. Drappi di stelle, cascate. La notte nel suo presentarsi di muschio e di cenere, efflorescenze dell’area diventata silenzio, nella bellezza di uno spazio senza confini e senza soluzioni”. “Come stelle nel cielo” è il titolo del suo nucleo di opere. “Ho sempre guardato al cielo, soprattutto al cielo notturno, sconfinato e carico di stelle. Quando Marco Goldin, alla fine dell’estate 2019, mi ha invitato a realizzare dei lavori ispirati ai cieli notturni di Van Gogh, ho accettato con entusiasmo. La pittura di Van Gogh è, nella sua interezza, entusiasmante, chiara, semplice, profonda, umanissima. Al centro del suo lavoro c’è sempre tutta l’umanità con le sue gioie, le sue speranze, i suoi dolori ma immersa in una natura di folgorante bellezza, una bellezza che accarezza l’anima. Già da qualche tempo le mie riflessioni si orientavano in questa direzione ma non erano ispirate dai cieli notturni veri e propri quanto piuttosto dai cipressi che Van Gogh ha dipinto – dichiara Puglisi -. Durante la visita a una sua mostra mi sorpresi a osservare con interesse i suoi cipressi dipinti. Cominciai a seguire le pennellate ondulate verde smeraldo scuro, i blu di prussia, i viola di cobalto che si muovevano in vortice come galassie e più entravo in quella oscurità più sprofondavo dentro me stesso. Ho cominciato a pensare a quel buio cromatico come a dei possibili cieli stellati. Non c’era ancora l’idea di una mostra eppure già conservavo nella memoria alcune idee di paesaggio che mi richiamavano alla mente certi dipinti del pittore olandese; una luna che sorge dietro una silenziosa collina in ombra ad Argimusco, delle luci riflesse su un cipresso. Ho lavorato a questi dipinti lasciando che la suggestione di un’immagine facesse eco a un’altra e come in un gioco di riflessi la realtà tradotta rimanesse in essenza. Ho dipinto alcuni cieli stellati del nord pensando alla nascita del pittore e ricordando la sua morte ma credo, infine, che il fascino delle stelle risieda tutto nella loro indifferenza ai nostri destini”.
Piero Zuccaro, “i suoi cieli sono così affascinanti sotto la trama di una materia in cui il pittore presta il proprio corpo alla luce. Anzi, si fa egli stesso intessere di quella luce che evoca sulla superficie della tela. Il suo è un guardare subito luminoso in cui occhio e corpo sono inscindibili tra loro”. “Cieli come fiori” è il titolo del suo nucleo di opere. “Realizzare un ciclo di lavori ispirati a Van Gogh che ha per soggetto il cielo diurno, mi ha portato a riflettere sull’impressione che ho avuto a diciotto anni quando, durante un viaggio a Parigi, ho osservato per la prima volta una serie di sue opere. Ricordo perfettamente il momento esatto nel quale sono entrato nella sala Van Gogh del Musée d’Orsay. La sensazione è stata di commozione – dichiara Piero Zuccaro -. Sono stato travolto da una forte tensione d’amore mai provata davanti a un dipinto. Ho sentito Vincent e il suo disperato bisogno di comunicare amore. Negli anni seguenti ho visto tante opere di questo straordinario artista e il suo uso della pennellata a piccoli tasselli allungati mi ha sempre interessato. Dopo anni di pittura di atmosfere d’interni e architetture, uscire all’aria aperta e riguardare il cielo cercando di tradurlo in pittura è stata per me una bella esperienza, un ritorno all’origine. Osservando la pittura di Van Gogh ho notato che per lui un fiore è come una nuvola e a sua volta un viso è come un paesaggio e così via, un continuo fluttuare da una forma all’altra, senza pausa. Da colore a colore, da segno a segno, tutto nei suoi dipinti crea tensione cromatica. La luce reale viene catturata dalla pennellata materica che Van Gogh fa vibrare come schegge elettriche sull’intera superficie. Ho voluto ricreare con più attenzione questa vibrazione, che in fondo mi appartiene, attraverso un segno molto evidente, ricavato da un tassello materico che si ripete seguendo un ritmo continuo sull’intera superficie pittorica. Nel mio percorso artistico ho sempre dipinto elementi cangianti come i riflessi sull’acqua o sui vetri delle architetture, e nel dipingere il cielo ho ricercato la struttura dell’aria e le geometrie delle nuvole. Come sempre gli accordi cromatici hanno una genesi alchemica, infatti durante la realizzazione dei dipinti, la sensazione seguiva la necessità di frammentare le cromie per creare più vibrazioni luminose e quindi ho aggiunto al mio modo di dipingere anche l’uso di punti colorati per catturare più luce. In questi ultimi dipinti ho cercato di far coesistere la presenza della materia e la leggerezza dell’aria, frantumando la trama pittorica con sovrapposizioni di segni, punti, linee spezzate per orchestrare l’impressione della sensazione che tutto ingloba”.
Biografie
Cetty Previtera nasce in Svizzera il 4 giugno del 1976. Da bambina, con la famiglia, si trasferisce in Sicilia, terra di origine dei genitori, dove ben presto ritrova le sue radici. Qui è cresciuta e vive tutt’oggi, alle pendici dell’Etna. Dopo aver conseguito la Laurea in Scienze della Formazione presso l’Università degli Studi di Catania e un Master in Comunicazione e Linguaggi Non Verbali, ha iniziato a lavorare in ambito sociale. Ha sempre inteso questo lavoro come una possibilità per conoscere e aiutare l’altro ma anche sé stessa. Tuttavia, dopo diversi anni di instabilità di diverso genere, e dopo la nascita del figlio, ha sentito fortemente la necessità di approfondire lo studio della pittura a olio. Aveva sempre amato la pratica artistica, non andando però mai oltre le pareti domestiche. Ha iniziato quindi a frequentare, “da grande”, gli studi di alcuni pittori locali e, successivamente, ha incontrato i maestri Giuseppe Puglisi e Piero Zuccaro, da sempre legati al Gruppo di Scicli. Con loro ha frequentato per diversi anni, presso l’Accademia di Belle Arti Abadir a Sant’Agata Li Battiati, il corso libero di Pittura. Questo incontro si è rivelato cruciale per la sua formazione artistica. I Maestri le hanno permesso di scoprire la pittura come pittura, la bellezza dell’esistenza dei grandi pittori, e, soprattutto, hanno fatto in modo, forse involontariamente, che scoprisse di essere pittrice. Si innamorò perdutamente della pittura e di grandi maestri legati imprescindibilmente alla storia del gesto pittorico: Guccione e Sarnari della sua Sicilia, Bonnard, Monet, Gaugain, De Stael, Gianquinto, Morlotti, Pollock, Rothko, ma anche Picasso, ed anche ovviamente il nostro Vincent Van Gogh. Durante quegli anni di studio, nel 2010, venne selezionata tra i finalisti del Premio Nazionale delle Arti a Napoli. Un piccolo passo, per lei incredibile ed entusiasmante. Quando aveva deciso di prendere lezioni di pittura non aveva minimamente pensato che a qualcuno potesse interessare il suo lavoro né tantomeno di poterlo esporre. Non aveva mai creduto, pur con una certa propensione a dedicare il suo tempo ad attività artistiche, che potesse essere un lavoro. Era in un momento di confusione, non era soddisfatta di ciò che aveva realizzato fino a quel momento. Ricorda che un giorno il Maestro Puglisi le disse: ma insomma, lei cosa vuole fare? Lei non seppe rispondergli, ma più tardi gli scrisse: io voglio fare la pittrice. Fu come dirlo finalmente a sè stessa. Così, alla fine dello stesso anno, grazie al riconoscimento da parte dei maestri, espose insieme ad altri giovani artisti emergenti, alla Galleria d’arte Lo Magno di Modica nella collettiva L’Unicotratto, mostra fortemente voluta e curata da Piero Zuccaro. Dopo la pittura, per la prima volta aveva a che fare con tutto ciò che comportava la realizzazione della mostra e del suo catalogo, una riflessione sul suo lavoro, le immagini di presentazione. Negli anni successivi ha avuto occasione di esporre in diverse gallerie siciliane e non, e nel 2014, in occasione dell’esposizione de La ragazza con l’orecchino di perla di Jan Vermeer al Palazzo Fava di Bologna, è stata invitata da Marco Goldin ad esporre all’interno della Mostra Attorno a Vermeer. Fu quella una importante e commovente conferma, che l’ha arricchita di necessaria e piacevole responsabilità artistica. Nel maggio 2017 è stata invitata da Antonio Sarnari per la sua prima mostra personale, Primavera, curata da Marco Goldin, presso le Quam di Scicli. Per la prima volta avrebbe esposto sé stessa, completamente, con tutta la gioia e le incertezze della sua pittura. Pittura che cominciava a cambiare, la perduta fluidità iniziale pian piano rientrava legandosi ad una crescente autonomia. In quella occasione decise di cambiare la collocazione del suo spazio di lavoro, prendendo una stanza più grande: aveva deciso di lavorare su grandi formati, e su una tela grandissima in particolar modo. Scoprì la sua pittura come un dialogo tra tela e colori che prescinde dalla rappresentazione di qualcosa. Seguì poco dopo, tra altre cose, una nuova mostra personale presso la Carta Bianca Fine Arts di Catania, ed una piccola esposizione presso la George Billis Gallery di New York nel 2019. Quello che dice a sé stessa anche oggi, immersa nello spazio di cui ha bisogno, è: io voglio dipingere e basta, voglio essere il mio gesto pittorico.
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Giuseppe Puglisi nasce a Catania il 18 giugno 1965. Appassionato sin da bambino al disegno, s’iscrive all’Istituto d’arte di Catania, dove incontra Pietro Zuccaro, con il quale instaura una profonda amicizia, alimentata dallo studio appassionato della pittura. In questo periodo si delinea già la sua prima area di ricerca attorno a temi quali la luce e il disegno . Dopo essere stato folgorato dall’opera di Lorenzo Tornabuoni, inizia un periodo di intenso lavoro durante il quale nascono le sue prime opere più mature. Nel 1987 viene notato da Franco Sarnari, durante la sua breve permanenza all’Accademia di Belle Arti di Catania, che lo mette in contatto con i pittori del “Gruppo di Scicli”. Del 1994 è la sua prima personale curata da Gabriele Musumarra con, in catalogo, una nota di Piero Guccione. Sono presenti, a questa mostra, i primi quadri di città e di figure sospese nell’acqua. Nel 1996, è invitato da Marco Goldin a esporre con altri artisti italiani alla Casa dei Carraresi di Treviso in occasione della mostra “Pitture. Il sentimento e la forma”. In questo periodo lavora al recupero di una luce più atmosferica e morbida, come risulta evidente nei quadri esposti, nel 1997, alla galleria Gianluca Collica di Catania: le “terrazze”, le “città di notte”, i “paesaggi urbani”. Intanto Si fanno più intensi i rapporti con il “Gruppo di Scicli”del quale da questo momento farà parte e con il quale parteciperà a numerose e importanti mostre in Italia.
Negli anni seguenti il recupero della figura sarà il motivo centrale di una personale alla galleria Studio Nuova Figurazione di Ragusa. Nascono le prime piscine, nelle quali il colore si fa più corposo e viene steso con pennellate più fluide, mentre i corpi dei nuotatori vengono plasmati nell’azzurro cangiante dell’acqua. Comincia a interessarsi del suo lavoro il critico d’arte Guido Giuffrè che, nel 2000, presentando una sua personale alla galleria Cefaly di Catania, mette in rilievo l’importanza delle «infinite possibilità del colore», che si configurano come spazio ampio e insondabile all’interno del quale « si svolge tutta la sua vicenda poetica.» Una poetica che si riassume «in una ricchezza cromatica umorosa, un colorismo risonante quanto sottile, in cui si fanno più struggenti le inquietudini che di quella poetica sono le ragioni segrete e dominanti.»
E la ricerca del colore si traduce, nelle parole stesse del pittore, in ricerca di equilibrio e di armonia, «il colore deve germinare dalla tela; io so che è mio e sicuramente mi appartiene, ma devo avere la sensazione che sia nato lì, per necessità, dalla stessa natura del quadro». Un equilibrio che diviene momento d’incontro tra l’interiorità e i soggetti che vengono mano a mano reperiti nel mondo circostante, siano essi figure o paesaggi.
Nel 2011 è presente alla LIV Biennale di Venezia, Padiglione Italia, segnalato dallo scrittore francese Dominique Fernandez che dirà del suo lavoro “…dipinge città viste dall’alto della notte: l’originalità sta nel presentare l’aspetto metafisico. Brillano d’una luce sovrannaturale, e nello stesso tempo paiono compatte come in certi quadri di Max Ernest. L’effetto è magnifico: si riconoscono Catania e le coste siciliane, ma si vede anche altro, un paesaggio fuori da ogni luogo e da ogni tempo, assorto in una solitudine grandiosa, un’eternità di sogno” . Nel 2012 partecipa insieme al “gruppo di Scicli” a un’importante mostra alla galleria Bernarducci-Meisel di New York e nel 2013 realizza alcuni dipinti ispirati all’amato Vermeer per la mostra “Attorno a Vermeer. I volti, la luce, le cose” a Palazzo Fava di Bologna. Nel 2014 espone a Palazzo Chiericati di Vicenza con una personale dal titolo “Puglisi. La notte e la neve”. Nel 2015 partecipa all’importante mostra “Ibleide, terra e luce, Trenacinque anni del Gruppo di Scicli” a palazzo Reale di Palermo. Nel 2016 realizza insieme a Zuccaro una Bipersonale dal titolo “la leggerezza del fare” alla galleria Quadrifoglio di Siracusa. Nel 2019 è invitato da marco Goldin a realizzare opere di grande formato ispirati ai cieli stellati di Van Gogh che saranno esposti al Centro San Gaetano Di Padova all’interno della mostra ” Van Gogh. I colori della vita” Dal 2017 è docente di pittura all’accademia di belle Arti di Catania.
Negli ultimi anni, la ricerca di Puglisi è contraddistinta dall’interesse per le visioni aeree di città e per i cieli notturni carichi di stelle.
Giuseppe Puglisi vive e lavora a Catania.
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Piero Zuccaro nasce nel 1967 a Catania, dove si diploma in pittura all’Accademia di Belle Arti. Durante gli anni di studio in Accademia entra in contatto con l’ambiente artistico catanese; qui incontra il maestro Franco Sarnari che del giovane artista scrive “Zuccaro sa bene, che quel fascino primitivo, quella necessità di altro da “lui”, è il punto referente per le opere successive. Così vanno evidenziandosi problemi già “risolti” nelle prime opere: la necessità di definire una forma-spazio che vada a chiudersi all’interno della tela grezza non dipinta, come un appiattimento prospettico, un’isola contornata dal vuoto”.
L’incontro con artisti degli anni sessanta-settanta – da Guccione a Ruggeri a Forgioli a Consagra – lo porta a confrontarsi con il panorama artistico e di critica nazionale. La musica e la danza entrano nel suo percorso formativo con la collaborazione della coreografa Donatella Capraro e la frequentazione con il maestro Franco Battiato che di lui scrive “Il tuo bisogno di materializzazione sta prendendo sempre più spazio. Le suggestioni di una fontana, di un riflesso sull’acqua o di una figura trasmigrano nella scultura. La tua pittura rifiuta il definito, il decorativo e il suo stesso supporto. Splendida comunque la materializzazione di un ricordo (La stanza di mia madre). Complimenti”.
Il percorso di ricerca muove i primi passi dai maestri dell’Informale europeo degli anni cinquanta, da De Stael a Burri a Morlotti, attraverso lo studio del primo Mondrian, che incarna figurazione e astrazione insieme. Nel 1997 una personale alla galleria Andrea Cefaly di Catania sottolinea l’interesse di Zuccaro per i soggetti osservati al porto: il mare stagnante pieno di petrolio e i riflessi sull’acqua scura. L’immagine riflessa, in particolare, diviene tema dominante e luogo della ricerca; una ricerca condotta a volte con aperture verso l’astrazione, come non ha mancato di rilevare Piero Guccione in un suo scritto, pubblicato nel catalogo della personale del 1998 alla galleria Nuova Figurazione di Ragusa “Astrazione pura dunque: pura espressione di forze più che di forme celebrate dal colore e dai movimenti della materia. Che non spiegano né danno alcun conto se non l’indicazione di un viaggio verso l’ignoto permeato solo dall’intelligenza nella sua forma assoluta”.
Tra le esposizioni più significative si segnalano: Pitture, 1996 a cura di Marco Goldin, Casa dei Carraresi, Treviso; Piero Zuccaro Opere 1997-2004 a cura di Guido Giuffrè e Franco Battiato, galleria Gianluca Collica, Catania; Zuccaro, Opere 2004-2006 a cura di Marco Goldin, galleria Linea d’Ombra Quadri di Conegliano, dove Goldin in un suo scritto sottolinea l’interesse di Zuccaro per la tecnica del pastello “Eppure questa stanza, questo simulacro di luoghi e silenzi, è il centro di tutto il mondo più recente di Zuccaro. Lo è anche se così non sembrerebbe, e quasi lo sguardo potrebbe scivolare via da questi due esili brandelli di spazio. Scivolare via per non avere notato niente. Poiché qui la pittura non ha nulla di eroico, non è dichiarazione accesa, non è sfida lanciata. È invece un pensiero dolce, la scoperta di un limite, uno sguardo commosso sul mondo, una luce fioca che s’accende dentro quella stanza”.
Nel 2008 si apre una grande mostra a cura di Massimo Riposati, Lorenzo Canova, Elmut Friedel alle Scuderie Aldobrandini di Frascati. Nel 2011 viene invitato alla LIV Biennale di Venezia, padiglione Italia regione Sicilia a cura di Vittorio Sgarbi, galleria d’arte contemporanea Montevergini, Siracusa. Seguono altre importanti produzioni come: Il Gruppo di Scicli 2012 a cura di Alberto Agazzani, galleria Bernarducci – Meisel, New York; Antologia breve 2014 a cura di Marco Meneguzzo alle Fabbriche Chiaramontane di Agrigento; La Cattedrale e la notte 2014 a cura di Marco Goldin, palazzo Chiericati, Vicenza; FlyBy 2015 con Donatella Capraro a cura di Giuseppe Frazzetto, galleria CollicaLigreggi, Catania; Novecento, Da Pirandello a Guccione, Artisti di Sicilia, 2020 a cura di Vittorio Sgarbi, Convitto delle Arti/Noto Museum. Attorno a Van Gogh a cura di Marco Goldin 2021 Centro San Gaetano; Padova.
Nella ricerca più recente, Zuccaro approfondisce lo studio della luce interna delle architetture, in particolare indaga lo spazio interno delle architetture sacre. Sono immagini che, se assumono una nuova identità nella scomposizione della forma, si appropriano, al contempo, dello spazio circostante in un processo di dilatazione che supera lo spazio fisico che le contiene e che le rappresenta.