“tre domande, tre poesie”
Qual è o quale dovrebbe essere la lingua ideale della poesia, la forma quanto incide sull’essenzialità della parola poetica e, ancora, in che modo la vita diventa linguaggio?
Tra le innumerevoli cose, la poesia è anche sminuzzare il quotidiano senza perdere nemmeno un granello di vita imparando ad avere occhi commossi. Senza la visione, che considero la capacità di restituire all’esistenza il mistero stesso della vita, non credo sia possibile l’incontro tra senso poetico ed estetica. Come per la musica o per il teatro la forma in poesia dovrebbe dialogare tranquillamente con la musicalità, il ritmo e il significante senza rischiare di rimanere ingabbiati in un’architettura atrofica e involuta. La modernità e le invenzioni del linguaggio, infatti, dovrebbero custodire la forza del prodigio della poesia smascherando con estrema naturalezza la fragile umanità che lo attraversa.
La poesia è tale se diventa portatrice di una visione che non è individuale (bensì sovraindividuale); qual è la tua opinione in merito?
Scadere nella confessionalità del proprio riflesso personale, caro a tante poetesse americane, vuol dire comunicare e dare la personale e soggettiva percezione della realtà. Questo, secondo me, diminuisce la tensione contenutistica e visionaria del componimento universale che dovrebbe saper prendere sottobraccio l’intera umanità attraverso i grandi temi custoditi nella memoria i cui riflessi permangono e si riconoscono nella contemporaneità.
Per concludere, ti invito, per salutare i nostri lettori, a riportare tre poesie dal tuo “La venatura della viola” (perché questo titolo?); di queste scegline una per condurci a ritroso nel tempo, a prima della stesura completa o della prima stesura, per raccontarci quanto “accaduto” così da permetterci di condividere (e meglio comprendere) il percorso che l’ha vista nascere.
Ringrazio la Redazione de l’EstroVerso per avermi dedicato tempo e spazio e, soprattutto, per avermi dato la possibilità di snodare, attraverso la mia poesia, cose viste e sentite da tutti, ma che ritengo vadano riscritte, soprattutto in poesia, per ripercorrere il tragitto umano nella semplicità e nell’essenzialità: per me imperativo necessario.
Saluto con affetto i lettori riportando di seguito tre testi poetici tratti da La venatura della viola, Ladolfi 2019 soffermandomi sulla terza poesia che porta come primo verso: Il mondo è un corpo devastato. Si tratta di una poesia che non ha una data di nascita, perché elaborata negli anni, un po’ come accade per tutti i miei lavori. La professoressa delle Scuole Medie un giorno ci mise di fronte a una domanda: Il progresso esasperato può diventare la tomba dell’uomo? Ricordo perfettamente il senso di sgomento che mi prese in petto che, da quel momento, andava trasformandosi in un profondo senso civico preparandomi all’atteggiamento amorevole nei confronti del mondo. Nel crescere ho approfondito gli studi sociologici assistendo, soffrendo e partecipando, con grande dolore e senza mai rassegnarmi, al declino del nostro pianeta che credo possa essere ancora recuperato e sanato. In che modo? Semplicemente curando e amando le piccole cose, partendo da zero, concedendoci una nuova possibilità. È un testo in cui utilizzo la parola poetica per oppormi all’indifferenza, allo sfruttamento e all’uso esasperato dei beni naturali e, soprattutto, allo scoramento trovando nella speranza, nell’essenzialità e nel buon senso comunitario, una forma di credibile r-esistenza. Una grande rivoluzione culturale, dunque, per ri-conquistare la fiducia della Natura con la finalità di non rischiare e subire ulteriori reazioni difensive e distruttive di Madre Terra. Qualcuno l’ha considerata profetica visto quanto poi accaduto, dopo pochi mesi dall’uscita del libro, con la pandemia da Covid19.
*
Sapevano da tempo la direzione
dell’ultimo litigio
uscito dalla bile in segno di protesta
parole a toni bassi dalla fossa
(scampavamo al timore di saperci morti)
fino alla pezza sulla bocca gialla.
Ieri bisbigliava al cellulare
a modalità “silenzioso” che la festa
è finita.
Concludere la libertà per uscire fuori
andare in pace, disfarcene.
*
In fondo l’aveva sempre saputo
che sarebbe accaduto il cambio
anatomico del saluto a mascelle
tese per evitare l’affanno dell’addio
durato quattro anni e mezzo
la ripetizione sovrabbondante
della chiusura. In fondo già
conosceva la sbattuta del portone
le parole che sarebbero tornate
quel tono negativo di cui preoccuparsi.
Vecchia storia suggerita dalla forza
gravitazionale nell’aria immobile
in cui tutto il mondo va alla deriva.
*
Il mondo è un corpo devastato
ha l’erba secca per il troppo pianto
è steso di fianco senza parole in bocca
alle dita manca il segno della pace,
si avverte il lamento del lupo in agonia
la neve permanente morire piano, piano.
Qualcuno dice non puoi farci niente
rassegnati al timbro del frastuono,
allora coglierò tutte le viole
le terrò insieme come faceva nonna
adornerò capelli scombinati
e
abbandonata alla saggezza del necessario
sarò povera delle solite cose.
Rita Pacilio (Benevento 1963) è poeta, scrittrice, sociologa, mediatrice familiare. Si occupa di poesia, di critica letteraria, di metateatro, di saggistica, di letteratura per l’infanzia e di vocal jazz. Direttrice del marchio Editoriale RPlibri è Presidente dell’Associazione Arte e Saperi. Ha ideato e coordina il Festival della Poesia nella Cortesia di San Giorgio del Sannio. Sue recenti pubblicazioni di poesia: Gli imperfetti sono gente bizzarra, Quel grido raggrumato, Il suono per obbedienza, Prima di andare, Al polso porto catene, La venatura della viola. Per la prosa poetica: Non camminare scalzo, L’amore casomai. Per la saggistica: Pretesti danteschi per riflettere di sociologia. Per la narrativa: Cosa rimane. Pubblicazioni di letteratura per l’infanzia: La principessa con i baffi, Cantami una filastrocca, La favola dell’Abete, La vecchina brutta e cattiva.
È stata tradotta in greco, in romeno, in francese, in arabo, in inglese, in spagnolo, in catalano, in georgiano, in napoletano.