copertina campionature di fragilità melania panico su l'estroverso

Anteprima

Che cos’è la poesia? Chi è il poeta? Queste le grandi domande a cui periodicamente ogni studioso cerca di dare una risposta, se non altro per cercare di incanalare il proprio lavoro e il proprio pensiero.
Il poeta è essenzialmente un uomo, nel senso più ungarettiano del termine, “un uomo del suo tempo” ovvero si inserisce nella storia senza però risultarne prigioniero, è colui che riesce ad avere, o punta ad avere, una visione d’insieme delle cose. Credo che oggi la poesia debba puntare a questo.
Se è vero che la poesia rispecchia in qualche modo la realtà, la poesia della contemporaneità è una poesia della crisi e il poeta una sorta di deus ex machina che, dal disagio dell’impossibilità di ricostruire, in qualche modo tenta di riplasmare un senso. Sono superati i secoli dei saperi certi, i secoli delle esperienze globali che portano a opere di ampio respiro, totali. La contemporaneità è il luogo in cui l’io si sfalda ed ecco che l’io, ormai frantumato, non può più trovare posto, perché non avrebbe senso: dove potrebbe trovare posto il soggettivismo, se tutto è ormai destrutturato, se il nostro secolo è diventato fragile di punti assodati e anche il concetto di “sapere” non è più assoluto? Eppure forse proprio per questo ci piace tanto la poesia del Novecento: è la poesia della necessità di ritrovarsi, è “il sogno continuamente deluso e continuamente ripreso di un mondo meno difettivo e meno ingiusto” come ci dice Mario Luzi. La questione è delicata. Ma torniamo alla domanda iniziale ovvero che cosa sia veramente la poesia e quale sia il rapporto con quello che nell’immaginario comune appare come “poetico”, qualcosa che agli occhi di molti visionari si collega all’idea del poeta come persona sopra le righe, che scrive cose legate ai sentimenti, uno “sensibile ed emozionato”, come se la poesia fosse un contenitore nel quale far convergere stati d’animo o un diario. Com’è vero che la poesia non si apprende con lo studio, com’è vero che il talento e l’esperienza della quotidianità possono essere punti di partenza, così ci si deve allontanare il più possibile dagli stereotipi e sostenere l’idea di una poesia universale ovvero di un genere letterario che parli, a suo modo, di temi che riguardano la collettività. È quello a cui vorrei tendere con la mia poesia.

*

Tre poesie da “Campionature di fragilità” di Melania Panico,
prefazione di Davide Rondoni, La Vita Felice (prima edizione maggio 2015)

Ci sono sorrisi tenuti da parte
custoditi sulla bocca dello stomaco
brillano di luce propria
nel rumore sordo artificiale della strada.

all’entrata la tua sigaretta
il compromesso al percorso facile
in dispensa le cose accantonate
lasciate.
È una vita che prova a dilatare conforti
la disumana forma del ricordo
alberga in pieghe poco sottili
anche un vetro assume fattezze incolmate
ora che il foglio diventa focolaio.

*

La casa di giorno ha sentore di verde
le foglie svegliano i piedi
la terra insegna i passi
per tributo alla vita.
Di notte la casa ha un vissuto che spaventa
la strada ancora sconosciuta
una cantilena ridà peso
al corso d’acqua verticale
si insinua nel tremolio delle rotaie.
Tra un minuto sarà tempo di restare.

*

Mura chiuse
ad ascoltare una distanza
che non sa trattenersi
nelle mani
che non si lascia scalfire
dal tempo.
E poi al tempo
nel volto
ho impresso a fuoco
il nome del mio desiderio
ed è un nome
che non ricorda casa
un nome che potrei tenere
stretto, ruvido.
Quante ombre familiari
magre come corpi veri
ombre intemperanti, avvilite
crude parole che messe a caso
lucidano la notte
come un premio.

Potrebbero interessarti