Eso Peluzzi
Eso Peluzzi

«Vorrei poter gettare nella gola del mostro distruttore metà ed anche tutta la inutile letteratura latina, gli storici ed i poeti, i filosofi, i tragici, i comici, Virgilio e Cicerone, Tito Livio ed Orazio, pur di riavere un verso di Saffo!».  Con tale profonda, esaltata e giocosa euforia il critico Enrico Thovez, nel suo saggio “Il pastore, il gregge e la zampogna” (Napoli, R. Ricciardi, 1911), rimprovera le patrie lettere di non aver ancora reso il giusto tributo alla grande tradizione della lirica greca, decisamente più carica di quel necessario pathos di cui a suo avviso è assolutamente sprovvista quella latina. E a proposito egli cita la maestra dell’Amore, la sacerdotessa dell’Eros, la grande poetessa che nel suo tiaso istruiva le giovani di Lesbo al culto della Bellezza, e di cui all’epoca non erano noti che alcuni frammenti: la divina Saffo, vissuta tra il VII e il VI secolo a.C.

Di lei, lodata perfino da un suo grande contemporaneo, il poeta Alceo, che scriveva «O coronata di viole, divina/ dolce ridente Saffo», voglio riportare una celebre poesia, nella nuova traduzione di una giovane poetessa, Marina Carbone. Diversi illustri poeti si sono accostati a Saffo, e soprattutto a questa sua famosa composizione: per ben due volte vi si provò Foscolo, che però stempera in un verboso stile neoclassico il febbrile e asciutto impeto dell’originale, ed anche Pascoli ne realizzò una sua versione, pur riducendola a un cumulo di versi ordinati ma dolciastri, lontani dal sensuale slancio della poetessa. Soltanto Quasimodo, nei suoi “Lirici greci” (1940), sarebbe riuscito a rendere in modo essenziale, opportunamente suadente ed incisivo, la palpitante grazia dei versi greci. E Marina Carbone, ventitreenne laureanda presso la Facoltà di Lettere della Sapienza, è stata capace di restituire nella sua traduzione tutta la scioltezza lirica dell’originale, tutto il suo impetuoso eppur sottile afflato. La roboante e armoniosa sensualità di Saffo è perfettamente rappresentata dall’eclatante efficacia espressiva di Marina Carbone. Godetevi la sua magnifica traduzione.

 

Beato è come un dio

chi davanti a te siede

e i dolci suoni

e i tuoi sorrisi ascolta;

 

e se ti guardo

d’improvviso il cuore arriva in gola

e non ho più voce,

 

la lingua si spezza,

un fuoco sottile attraversa la pelle,

gli occhi non vedono,

nelle orecchie un frastuono,

 

il sudore m’inonda,

tremo tutta:

il volto più verde dell’erba,

arrivo quasi a morire.

 

***

 

Φαίνεταί μοι κῆνος ἴσος θέοισιν
ἔμμεν’ ὤνηρ, ὄττις ἐνάντιός τοι
ἰσδάνει καὶ πλάσιον ἆδυ φωνεί-
σας ὐπακούει

καὶ γελαίσας ἰμέροεν, τό μ’ ἦ μὰν
καρδίαν ἐν στήθεσιν ἐπτόαισεν,
ὠς γὰρ ἔς σ’ ἴδω βρόχε’ ὤς με φώναι-
σ’ οὐδ’ ἒν ἔτ’ εἴκει,

ἀλλὰ καμ μὲν γλῶσσα ἔαγε, λέπτον
δ’ αὔτικα χρῷ πῦρ ὐπαδεδρόμηκεν,
ὀππάτεσσι δ’ οὐδ’ ἒν ὄρημμ’, ἐπιρρόμ-
βεισι δ’ ἄκουαι,

κὰδ’ δὲ μ’ ἴδρως ψῦχρος ἔχει, τρόμος δὲ
παῖσαν ἄγρει, χλωροτέρα δὲ ποίας
ἔμμι, τεθνάκην δ’ ὀλίγω ‘πιδεύης
φαίνομ’

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