L’incipit della “Nota editoriale” di Paul Celan, Poesie, traduzione di Moshe Kahn in collaborazione con Marcella Bagnasco e Vittorio Tamaro, L’Orma, Roma 2024, suona:
Il 20 febbraio 1970 Paul Celan scrisse a Moshe Kahn, giovane poeta fresco di nomina alla direzione del Goethe-Institut di Firenze, annunciandogli di averlo scelto come traduttore italiano delle sue poesie. Questa investitura arrivava dopo un lungo e complesso iter editoriale, la cui intricata vicenda è stata ricostruita con cura e autorevolezza dallo studioso celaniano Dario Borso.
Questa è l’unica menzione cartacea in assoluto ottenuta seppur per sottinteso dal mio Celan in Italia. Storia e critica di una ricezione (Prospero Editore), uscito nel novembre 2020 contemporaneamente a Paul Celan, L’antologia italiana (Nottetempo, a mia cura) nell’idea di onorare degnamente il centenario della nascita del poeta, che cadde appunto il 23 novembre 1920.
Come noto, Celan nel 1964 inviò a Vittorio Sereni, direttore letterario alla Mondadori, un elenco definitivo e subito approvato di quarantotto poesie tratte dalle sue quattro raccolte precedenti (Papavero e memoria, 1952; Di soglia in soglia, 1955; Grata di linguaggio, 1959; La rosa di Nessuno, 1963), in vista di un’antologia che facesse conoscere al nostro pubblico un poeta in Germania già affermato.
Restava dunque da individuare il traduttore e Celan, che conosceva l’italiano[1], si dimostrò severo al punto da scartare via via le prove di Ferruccio Masini, Ida Porena, Maria Luisa Spaziani e Giuseppe Bevilacqua.
Così passarono anni, finché appunto il 20 febbraio 1970 Celan comunicò a Moshe Kahn l’investitura, con una clausola però, che a base dell’antologia italiana fosse quella tedesca uscita a cura dell’autore nel 1968, Poesie scelte. Due discorsi, la quale comprendeva sessantun poesie, di cui trentaquattro già presenti nell’elenco del 1964, mentre ampio spazio veniva dato alle poesie tratte dalla sua quinta raccolta, Virata di respiro (1965). E alla clausola seguiva un diktat, di escludere dalla scelta la sesta raccolta (Soli in filamenti, 1968) e la settima (Coercizione di luce, 1970).
Alla Mondadori si venne a sapere un mese dopo dell’investitura corredata di clausola e diktat, ma mentre iniziavano a definirsi con Kahn e con la casa editrice Suhrkamp i termini contrattuali, Celan si gettò nella Senna la notte del 20 aprile 1970 lasciando Kahn, con il quale aveva già concordato una full immersion traduttoria de visu, senza supervisore.
La faccenda, che sembrava risolta, s’ingarbugliò nuovamente: durante l’estate Kahn propose a Bevilacqua una cocuratela dell’antologia, ma a fine novembre i due traduttori in pectore vennero ai ferri corti[2], e così l’8 gennaio 1971 il solo Kahn spedì alla casa editrice milanese un elenco basato su una nuova antologia uscita in Germania due mesi prima, anch’essa intitolata Poesie scelte, a cura di Klaus Reichert, anglista che alla Suhrkamp aveva tenuto i rapporti editoriali con Celan tra il 1964 e il 1968.
Nella postfazione, il curatore della nuova antologia tedesca avvertiva di avere voluto integrare quella curata da Celan stesso nel 1968, inserendo poesie delle cinque raccolte in gran parte escluse e aggiungendo poesie delle raccolte successive – due scelte che forse Celan avrebbe approvato per il pubblico tedesco già abbordabile o abbordato dalle sue singole raccolte oltreché dalla sua antologia, ma certamente non per il pubblico italiano fino ad allora digiuno, cui egli pensava al momento di inserire clausola e diktat.
L’elenco di Kahn, approvato in Mondadori nonostante le perplessità di Sereni circa Soli in filamenti, comprendeva centosei poesie, novantasette delle quali desunte dall’antologia reichertiana, che ne contava in totale centootto; l’antologia Mondadori, che sarebbe uscita col titolo Poesie un lustro esatto dopo ovvero nel gennaio 1976, contò cento poesie, novantadue delle quali tratte dalla medesima antologia[3].
La soluzione fu problematica sia dal lato del lettore italiano, costretto a basarsi in qualche modo su una “seconda scelta”, sia da quello dell’autore, disatteso nelle sue ultime volontà.
Detto questo, la qualità delle traduzioni offerte da Kahn non ne risulta sminuita, anzi è accresciuta dalla riproposizione attuale[4], che dimostra una lunga, ammirevole insistenza sulla pagina celaniana – una ragione in più perché egli ci dipani l’antico garbuglio.


[1] Celan, che nel 1968 pubblicò un volume di sue traduzioni da Giuseppe Ungaretti, nel biennio 1946-47 aveva preso lezioni private dall’amica Despina Mladoveanu, che fino al 1978 insegnò lingua e letteratura italiana alla Facoltà di Filologia dell’Università di Bucarest. Nella foto in copertina risalente al 1957, fornitami dalla sua allieva Doina Derer che le successe in cattedra, Despina tra colleghe porta una fascia.
[2] Comunicarono entrambi l’accaduto a Marco Forti, responsabile del settore poesia in Mondadori, ma con motivazioni tali da fargli sbottare: “È evidente che uno dei due non è perfettamente in buona fede”.
[3] La vicenda riassunta qui in poche righe occupa sei capitoli dei trentotto compresi nelle 368 pagine di Celan in Italia.
[4] Dove la traduzione delle cento poesie è rivista e integrata con quella di trentuno tratte dalle raccolte postume Parte di neve (1971) e Alone del tempo (1976).