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Il tempo è una ribalta traversata in ogni pezzo da forme strepitose.
Il divenire offusca la visione.
Un albero fa ombra e tu lo guardi a bocca aperta. Ricordi una buca trent’anni fa e tuo padre: “Dev’essere profonda” diceva “perché attecchisca”. E adesso eccolo lì a seccare foglie. Materia in movimento. Artificio che sapora indipendenza, meraviglia e unicità. Scavare e ricompattare alle radici: il tempo è questo senso del tempo?
Se ricorri a un’istantanea per fissare quella buca l’immagine rimane un vacuo intendere. Al fondo pietre storiche, sfinite pietre come bocche avvezze a un riflesso senza luce. Ti svegli, t’addormenti, avanzi a fatica, sommi quantità, aumenti intensità come sapessi dove andare oppure cambi strada fingendo di scegliere un bordo dall’altro, una pena da una ricompensa. E i richiami sono raffiche, a centinaia gridano e brulicano sulle strade. Gente e ancora gente. Sguardi asciutti, crani multiformi, mandibole, vetture, scarpe, cosettine. Prima era perlomeno il mondo, adesso è solo l’epoca, una poltrona moderna di finto damasco. Una bella galera. Non riconosci neppure il reale tra i brandelli d’assurdità che ti entrano in testa. Occupano tutto lo spazio. Se li disturbi pizzicano forte e come odori salgono su per il naso dal passato o dal tempo a venire. Premono il confine necessario all’antropica esistenza compenetrati al desiderio. Non puoi fissare un limite. Riportano a un’idea di condizione come il latte quando è caldo. E tu subisci una revulsione, una scossa e dà assuefazione. Rimesti nelle fibre e milioni di metri non si spezzano: accludi, notifichi lo strappo e lo chiami variazione. Non sai quale dio ha voluto giocarsela e se ride o già dimentica la furia ma non riesci nemmeno maledirlo se t’ha dato un attimo e un budello che cerca la forza per continuare a fare ciò che ha fatto il giorno prima, quei tentativi per uscire dalla necessità. Così venti o cinquant’anni passano nella stupefazione.
Insoddisfazione s’accompagna indefinita? Cumulare. Ammassare. Fare. Fare il poter fare: specializzata funzione da imenottero.
Si è ciò che non si getta via. Ebbene, come te la cavi?
Ti adatti a scendere il fiume sospinto dal flusso tra i vapori e senza scampo o punti le pagaie in acqua aggrappandoti a ogni roccia?
Uno s’ingozza di uomini, di sogni, di morti, di specchi, fiero di ciò che può tenere. Si lascia penetrare da uno stiletto di forma e di calore per sentire con la carne quella viva sofferenza delle cose che fa vibrare l’arco più dell’onda che si leva.
Un altro avanza come fosse disegnato con grafite, delicato e fragile. Il vento lo scolpisce senza stordimento. Una vera imprudenza di bellezza.
Tutti gli altri vanno al cinema.

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