In data 24 luglio 2013, costeggiando il fiume Hunte mi portai con la vettura in dotazione su Dümmerlohausen, frazione di Lembruch, riva occidentale del lago Dümmer (Bassa Sassonia), dove subito individuai la pensione Schomaker, unico edificio in mattoni a vista, differentemente da tutti gli altri a graticcio.

cartolina borso

Il lezzo di una porcilaia sita nei paraggi occupava stabilmente le vie fin quasi a inibire la vista. Comunque: nella sala da pranzo nessuna traccia più di uccelli impagliati,

dario borso

il menu invece recava ancora come piatto principe anguilla del Dümmer. Lo ordinai e aspettando approfittai per stendere queste note.

In una specie di scodellone, l’anguilla galleggiava su una brodaglia fumante increspata da spuntoni vegetali, e siccome dopo un po’ non la smetteva, bloccai il tutto rovesciandovi sopra una cofanata di patate lesse, che assieme a un paio di birre scure riuscirono pure a coprire odore e sapore. Il gestore Hoto Schomaker, le cui generalità avevo desunto all’entrata dove campeggiava una sua foto a colori in costume da Prinz Heinrich X,

2004

 

venne infine di persona a portarmi lo schnaps che avevo ordinato a scopo coadiuvante, e si dimostrò subito disponibile a parlare. All’epoca in cui Schmidt alloggiò lì con signora (21-26 giugno 1953) per poi rielaborare il tutto in un romanzo breve,

borso d

Hoto aveva quattro anni e di suo non ricorda nulla. I genitori però rievocavano spesso la coppia, evidenziandone le bizzarrie. Due soprattutto degne di nota: 1- Arno protestava in continuazione, o perché le porzioni erano scarse (poi mancava sempre qualcosa, tipo burro a colazione…), o perché riteneva falsi se non addirittura nazi i nostri dépliant sulle palafitte preistoriche in riva al lago (papà era fissato all’incontrario, sosteneva a spada tratta che lì s’erano insediati i primi Germani durante il Neolitico, per quanto gli archeologi sostenessero unanimi che le prime palafitte risalgono all’età del bronzo); 2- Alice passava ore in terrazzo a guardare il cesso ligneo giù in cortile, frequentato dai contadini che giravano il fieno sui campi accanto.
Colsi al volo l’occasione e calai l’asso: Alice nel suo diario appunta che il marito, tirato per la giacca dal papà di Hoto, aveva scritto qualcosa sul libro degli ospiti… Il figlio s’illuminò, chiamò la bottiglia di schnaps e confidò quanto segue: all’inizio del 1996 s’era presentato un signore che ordinò lo stesso menu mio, e come me alla fine attaccò bottone. Era Jan Philipp Reemtsma, l’erede dell’omonima fabbrica di sigarette che, innamorato di Arno, gli devolse nel 1973 l’equivalente in marchi del premio Nobel, per poi fondare alla sua morte la Arno Schmidt Stiftung di Bargfeld. Come me, Reemtsma voleva vedere il libro degli ospiti; impressionato alla lettura, si offrì subito di comprarlo, ma l’osto furbo davanti al miliardario nicchiò con l’intento di alzare il prezzo. La trattativa proseguì per telefono fino al 26 marzo mattina, quando il padre telefonò per un ultimo rilancio, e pochi minuti dopo si trovò la pensione accerchiata da gazzelle della polizia, che lo ammanettò all’istante. Poche ore prima infatti Reemstma era stato rapito, e la telefonata intercettata sapeva anche troppo di riscatto in codice (ironia della sorte, il babbo aveva chiesto 3.000 marchi, a fronte di un riscatto pagato poi ai rapitori di 30.000.000). Mesi dopo la sua liberazione, Reemtsma tornò alla carica e il babbo non se la sentì d’infierire: così abbassò le sue pretese, concluse l’affare, ma si tenne malignamente la fotocopia dell’autografo schmidtiano. Altrettanto malignamente, senza darmi neanche il tempo di chiedere, il figlio aggiunse che la fotocopia era a mia disposizione. Finimmo la bottiglia rimasta sul tavolo a sanzione dell’accordo, lo seguii fino a una madia da cui estrasse l’oggetto, lo seguii al primo piano dove mi mostrò la camera che avevo a suo tempo prenotato, e mi augurò malignamente la buonanotte. Per paura di chissaché, trascrissi subito a mano il testo, e pur brillo mi accingevo a tradurlo, allorquando cominciai a sentirmi una rivoluzione in corpo da far spavento; laonde passeggiate continue a quel gabinetto che più propriamente si dovrebbe chiamar luogo scomodo e non luogo comodo. Maledetta anguilla, non mi buscheri più!, andavo esclamando nel viavai, finché mi addormentai vestito alle prime luci dell’alba. Dopo un’ora mi svegliai scalciando: sognavo che Reemtsma mi tirava per un piede mentre Schmidt mi solleticava la pianta dell’altro. Chi era costui, filosofo, che rideva e piangeva insieme? Boh, fatto sta che mi fiondai giù per le scale con la borsa manco aperta, consegnai fotocopia più bancomat a un Hoto già vispo, e fendendo quel lezzo brumoso puntai dritto al lago, per almeno vederlo. Fu una fortuna, perché appena messo piede (non ricordo quale) sul palafittico pontile,

35

 

vomitai rendendo all’acqua la sua ex-inquilina.

Il rigetto coinvolse pure il testicolo di Schmidt, che traduco solo ora, a un mese esatto dalla mia missione (ma intanto ho scoperto essere una parodia di Der Pfahlmann di Joseph Viktor von Schefel, poesia che i liceali tedeschi imparavano a memoria come noi Il re travicello del Giusti).

Nebbie grigiofumo impregnano
il villaggio di palafitte sul lago,
e sopra i canneti brillano
i monti Dammer innevati.

L’uomo neolitico si tasta la gota :
la gota è dura perché tira vento !
Intaglia una zappa da corno di cervo
e intona scontroso il suo lamento :

«A che mi giovan tori di razza,
a che alce, orso e verso di tarabuso;
quanto preferirei bermi una birra :
ahimè, non è ancora in uso !

E il Dümmer rimpicciolisce sì,
la Hunte maestosa si restringe;
nessuno c’invidia i reumi,
forse l’anguilla affumicata.

Stasera traforo l’ascia,
la mia vecchia però è malconcia;
poi vado in canoa dai vicini :
la piccina m’andrebbe bene !»

Quand’ecco annusarlo un orso –
il cantante restò senza voce :
schizzò come un pesce nei giunchi,
e nuotò via bestemmiando.*

*

Grauqualmende Nebel umfeuchten / das Pfahlbaudörfchen im See, / und über der Schilfwildnis leuchten / die Dammer Berge im Schnee. // Der Steinzeitmensch fühlt an die Backe : / die Backe ist dick, denn es zieht ! / Er schnitzt an der Hirschhornhacke / und brummelt murrisch sein Lied : // »Was nützen mir urige Stiere, / was Elch, Bär, und Rohrdommellaut; / ich ginge viel lieber zum Biere : / ach, es wird noch keines gebraut ! // Der Dümmer wird auch immer kleiner, / die prächtige Hunte wird schmal; / ums Rheuma beneidet uns Keiner, / vielleicht um den Räucheraal. // Heut Abend bohr ich das Beil aus, / mein altes ist doch ziemlich schlecht; / dann paddl’ ich zum Nachbarpfahlhaus : / die Kleine da wär’ mir schon recht ! –« // Da schnupperte plötzlich ein Bär dicht – / dem Sänger verschlugs seinen Ton – / er sprang, husch, wie ein Fisch ins Geröhricht, / und kraulte fluchend davon.

 

 

 

Potrebbero interessarti

3 risposte

  1. Pingback: Louis
  2. Pingback: chester
  3. Pingback: ted