La fotografia è insieme un’arte “documentaria” e introspettiva. È l’arte degli occhi “pronti” a “catturare” il visibile schiudendo una “finestra” sull’interiorità e sull’invisibile. Con questo pensiero piace introdurre la nostra intervista al fotografo gentleman catanese Dino Stornello (in copertina nella foto di Orietta Scardino) che da mezzo secolo coltiva, coniugandole splendidamente, entrambe le passioni per la fotografia e per lo spettacolo, divenendo autentico testimone di memorabili momenti culturali così come provato dalla suggestiva mostra dal titolo “Foto-Storie di Cinema”, conclusasi ieri, accolta dalla “Casa del Cinema di Taormina”, pensata in occasione della LXX edizione del “Taormina Film Fest”.
Come nasce la tua passione per la fotografia?
«All’inizio era soprattutto un’opportunità di lavoro; tramite l’agenzia fotografica di amici cominciai con le foto di sport: in particolare le partite di calcio dai vari campi della Sicilia che il quotidiano “La Sicilia” seguiva. Tutto cambiò quando cominciai ad occuparmi di spettacolo; era il 1976 e mi incaricarono di seguire il concerto di Charles Aznavour e Mia Martini. In seguito, negli anni ’80, ho eseguito le foto di scena del Teatro Stabile di Catania: questo mi ha dato l’opportunità di conoscere i grandi maestri della scena (Turi Ferro e Ida Carrara, Marcello Perracchio, Anna Malvica, Pippo Pattavina, Tuccio Musumeci, Guia Jelo, Mariella Lo Giudice…) e i giovani attori appena diplomati dalla scuola “Umberto Spadaro” sotto la guida del maestro Giuseppe Di Martino. Con tutti loro, nel corso di tanti anni di frequentazione, si è instaurato un rapporto cordiale, amichevole, che mi consente occasionalmente di eseguire degli scatti non convenzionali, anche al di fuori delle scene. Dal 1981 seguo il “Taormina Film Fest”, il che mi ha dato la possibilità di immortalare con i miei scatti molti dei più noti attori del cinema nazionale e internazionale, costituendo così un consistente archivio fotografico al quale ho attinto in varie occasioni per allestire delle mostre fotografiche».
Ci racconti un aneddoto legato ad uno scatto indimenticabile?
«Uno degli scatti al quale sono più affezionato è quello che ritrae Roberto Benigni e Massimo Troisi: era il 1981 e loro, giovanissimi, furono miei complici nel posare scherzando e scambiandosi le giacche tra le risate generali, sia loro che di qualche spettatore di questo originale servizio».
Ci descrivi le peculiarità della tua fotografia?
«L’unica peculiarità che mi sento di rivendicare è l’attenzione ai dettagli, la ricerca dell’espressione particolare del soggetto fotografato che ne riveli l’anima: per questo risultato posso passare lunghi minuti inquadrando il viso del mio personaggio in attesa di cogliere quell’attimo rivelatore».
Ci racconti il processo creativo, dall’idea alla conclusione, quando senti che lo scatto è compiuto?
«Se si tratta di foto di scena è opportuno seguire qualche prova in modo da avere già chiara la disposizione degli attori e la sequenza degli eventi che saranno rappresentati (raramente è possibile e allora supplisce l’esperienza che mi consente di intuire ciò che succederà). Se invece parliamo di un servizio “posato” è fondamentale stabilire con la persona da fotografare un rapporto di fiducia, una complicità, che faccia diventare più naturali possibile le espressioni che si susseguiranno nei vari momenti dello shooting. Altrettanto importante, in relazione al risultato che ci si prefigge, è la scelta della location».
Il tuo “fraseggio” fotografico quale “colore” predilige?
«Ormai la quasi totalità delle foto sono a colori; questo certamente rappresenta la realtà in modo più verosimile. Io tuttavia, avendo iniziato oltre 50 anni fa, conservo nel mio archivio migliaia di scatti in bianco e nero e ad essi sono particolarmente affezionato. Ritengo che il black & white abbia un fascino particolare; in qualche modo risulta meno distraente, concentra più l’attenzione sull’immagine».
Henry David Thoreau diceva: “non importa quello che stai guardando, ma quello che riesci a vedere”. Cosa hai potuto vedere attraverso l’arte della fotografia? E, ancora, dal tuo punto di vista, cultore quale sei, ci dici cosa accomuna la fotografia al teatro, quindi all’espressività dell’arte in generale?
«Relativamente alla citazione di Thoreau, sono totalmente d’accordo: vedere è ben più che guardare. Per coniugare quest’affermazione con la fotografia, mi permetto di citare due affermazioni di uno dei più grandi fotografi del secolo scorso, Henri Cartier Bresson: “Quello che un buon fotografo deve cercare di fare è mettere sulla stessa linea di mira il cuore, la mente e l’occhio” e ancora: “Fotografare è riconoscere nello stesso istante e in una frazione di secondo un evento e il rigoroso assetto delle forme percepite con lo sguardo che esprimono e significano tale evento”. Il teatro mette in scena la vita; la fotografia, perpetuando attraverso l’immagine fissa ciò che gli attori raccontano attraverso la gestualità e l’espressione, conserva per sempre quella rappresentazione della vita che autore, regista e attori ripropongono ad ogni replica».
In un tempo assediato dalle immagini com’è cambiato il ruolo del fotografo, come sono cambiati il “significato” di fotografia e il “ruolo” del fotografo?
«Premesso che una bella fotografia la si guarda sempre con interesse, se facciamo riferimento ai media tradizionali purtroppo il ruolo del fotografo è sovente svilito dal fatto che la sovrabbondanza di immagini che sono immediatamente disponibili sul web, anche se di scarsa qualità, consente una così ampia scelta che quasi sempre viene preferito il risparmio alla qualità. Fortunatamente resta ancora lo spazio per delle foto ben fatte nell’ambito dell’immagine professionale».
Per concludere, raccontaci dei tuoi progetti (lavorativi) in corso, imminenti e futuri.
«I progetti non si discostano dall’attività di sempre; tanto teatro e quindi foto di scena e, occasionalmente, con la complicità degli amici teatranti, foto fuori scena, momenti di vita e anche ritratti per il book professionale che ogni attore tiene sempre aggiornato. Più volte mi è stato proposta l’idea di un libro fotografico ma è impresa troppo ardua. Mi fa piacere invece che ogni tanto si faccia riferimento al mio archivio per allestire una mostra fotografica; con quella appena conclusa alla “Casa del Cinema di Taormina”, dal titolo “Foto-Storie di Cinema”, siamo a quota tre. Ogni volta è una bella, gratificante esperienza».