La poesia è arte. Questo è tutto l’essenziale da dire al riguardo. E come poetessa tengo molto alla sintesi. Credo nella poesia “commestibile”, il mio messaggio deve arrivare chiaro al lettore il quale ha diritto al proprio spazio immaginario ma non deve rimanere con una sensazione di estraneità e di totale smarrimento di fronte ai versi. La sperimentazione ha fatto tanto per i poeti ma ha causato anche tanti danni, allontanando di fatto i lettori – i fruitori della nostra arte. Danni che oggi noi possiamo e dobbiamo riparare. Credo comunque nella ricerca, nel duro lavoro di limatura e di sottrazione, nell’uso della tecnica in combinazione all’ispirazione. Queste sono condizioni imprescindibili per ambire a fare arte. A fare buona poesia. Non credo invece nella poesia intimista e autobiografica, nell’universalità della valenza dei pensieri, delle sensazioni e delle esperienze personali del poeta, io rivolgo lo sguardo all’esterno e riporto nei versi la mia percezione delle situazioni. La scelta della prima, seconda o terza persona, singolare o plurale, è una questione puramente tecnica. Prediligo i temi filosofici, amorosi e sociali in questo ordine: il poeta ha precise responsabilità non solo artistiche ma anche umane. Dunque, dopo “Il Tempo dell’esistenza”, Marco Saya ed 2012, in cui ho trattato di senso della vita e thanatos, ho deciso di occuparmi nel secondo libro di eros. È così nato “Eros e polis – di quella volta che sono stata Dio nella mia pancia”, Terra d’ulivi ed. 2014. Il libro è illustrato da chine del maestro Alberto Cini che ringrazio per aver voluto lavorare con me al progetto. Questo mio libro è dunque a tema erotico/amoroso con risvolto sociale, si svolge come una sorta di narrazione delle avventure amorose di una donna vissuta a cavallo di due secoli, fra le lotte femministe degli anni ’70 e la grande crisi economica dei nostri giorni. Senza veli e senza pudori cerca di toccare tutto ciò che potrebbe realisticamente capitare: amore, sesso, desideri, gravidanza, belle esperienze emotive, ma anche gelosia, abbandono, umiliazione, violenza, spiazzamento. Alcune poesie sono molto esplicite, ma di norma io affronto gli argomenti più scabrosi con ironia, come in “50 sfumature di rosso” dove tratto in modo parodistico il fenomeno del best seller dell’estate scorsa che ha riscosso tanto successo fra le donne, occupando un posto impegnativo nell’immaginario erotico femminile collettivo.
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“Da un lato abbiamo infatti in queste pagine quasi una serie di frammenti da un discorso amoroso, con tutte le variazioni prevedibili del genere, dal sentimentale al nostalgico, sino all’erotico, ovviamente, con l’inevitabile contraltare dell’angoscia e del dolore. Un arcobaleno di sentimenti e sensazioni espressi con una certa semplicità e crudezza, a volte quasi spiazzanti nella loro elementarità animale. Dall’altro abbiamo illustrazioni elaborate e composite, nessi simbolici di non semplice ricostruzione, elementi naturalistici combinati con raffinate volute decorative, come ad alludere a un eros che non si accontenta mai, che non si risolve mai in nulla di specifico, ma che deve sempre rilanciare, riproporre, aggiungere, de-risolvere quello che già sembrava risolto. Qualche riferimento alla cabala, all’occultismo, all’esoterico, giustifica nei testi verbali questa deriva, e suggerisce che, attraverso la chiave delle figure, le parole non possano essere davvero così dirette, nemmeno quando l’eros vi si espone proprio crudo crudo, nudamente vittorioso. Ma se dobbiamo leggere il tutto a questo modo, ecco che una qualche dimensione ludica fa inevitabile capolino anche nell’interpretazione dei testi verbali. E allora sì, il dolore della solitudine o dell’essere abbandonati o del semplice esaurimento di una passione rimane comunque dolore, su questo non c’è dubbio; non è che si soffra di meno. E tuttavia rivedere questo dolore in una dimensione composita di gioco lo rende, più universalmente, un semplice momento”.
(dalla prefazione di Daniele Barbieri)
“La Zironi nomina le cose, ma queste le sfuggono perché sono in fuga. Una volta chiamato in causa, l’eros si volatilizza: rimane il dolore. Una confessione raccontata con il verso libero, dove l’a-capo tenta di seguire la traccia del dolore delle esperienze vissute, perdendolo di vista e riperdendolo sempre di nuovo. Forse, un trattato sull’amore oggi non potrebbe che impietosamente affondare il coltello del pensiero su come stanno le cose: l’ospite è scomparso, non c’è più, sono rimasti soggetti de-sostanziati, deprivati di affettività (come dicono i beneducati maître à penser), deprivati di soggettività. Quello di cui parla la poesia di Claudia Zironi è nient’altro che questa materia, neanche tanto oscura. E lo fa con eccellente qualità letteraria, utilizzando il metro libero come si utilizza un autobus: si sale di qui e si scende di lì; i versi sono i sali-scendi, sono delle altalene dove il lettore viaggia divertito”.
(dalla postfazione di Giorgio Linguaglossa)
Selezione di poesie da “Eros e polis – di quella volta che sono stata Dio nella mia pancia” non sei abbastanza bella, cara I peluzzi delle ascelle, le sopracciglia, ogni papilla del dolce e del salato, reni e utero, l’unghia dell’alluce, tutti erano informati ormai, dopo tre anni, che non mi amavi. Ricordo ancora in via castelfidardo il bagno insieme, il bruciante sesso, i teneri baci e il dolce senso d’impotenza dell’ultima volta che lo hai ripetuto * 50 sfumature di rosso L’onda lambisce la mia alga bruna, nuda su questo scoglio che ferisce sento sul seno il calore bruciante. Il pensiero vola alla lingua, alla frusta, a gocce di cera bollente. Con le mani legate dietro la schiena sto in attesa, bendata, in tua balìa. Addormentarsi in spiaggia causa l’insolazione e della pianta dei piedi l’ustione. Sfumature * ripensando a Otmár Ho comperato una borsa oggi ampia, per contenere quarantanove anni che farò fra pochi giorni nera, come la pelle che non ho mai voluto accarezzare – mi chiedo per quale idiosincrasia: è morbida e odorosa, in fondo. Accetta il tabacco sparso e gli accendini buttati alla rinfusa, l’erre moscia quando la chiamo e un cellulare che suona a volte inopportuno. Si struscia contro il fianco, ondeggia e sbatte, batte e beccheggia sfiorandomi la mano, grata dell’attenzione con cui apro lentamente la cerniera * echi di ossa contorte nel bosco Ancora oggi mi chiedo se davvero sono viva, se quel giorno d’agosto, a dieci anni, sono fuggita. Se quel distinto quarantenne ha preteso che cercassi caramelle in una tasca vuota, poi mi ha preso sussurrando “vieni con me adesso” e io davvero sono fuggita. * degli incontri d’autunno A te piace stringerlo: in mano con forza, batterlo palparlo governarlo, attirarmi le pelvi in un immobile tango. A te piace riceverla: senza lingua, contatto breve e ripetuto, con gli occhi che ridono di compiacimento mentre i miei si chiudono d’affanno. A te piace rintanarti: spingerti a fondo accompagnandomi il capo affinché le labbra non devino il percorso. E che io beva quando chiudi l’ombrello, ogni goccia di pioggia. * somiglianze Ti assomiglia, ti ha detto piangendo Guardando sei centimetri di ecografia * come dice l’amore un poeta Molti si chiedono come dica l’amore un poeta. A me, ha detto: Sai, oggi ti parlavo – lo so che non c’eri, ma io lo stesso ti parlavo, ti chiedevo – ci basterà la birra stasera?
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