Etna in Scena: Vincenzo Spampinato, onirico “Venditore di Nuvole”

Vincenzo-Spampinato

“Da qualche parte sopra l’arcobaleno, proprio lassù, ci sono i sogni che hai fatto una volta, durante la ninna nanna”. Versi tradotti, tratti da “Somewhere Over The Rainbow”, celebre brano dal musical “Il Mago di Oz”, con il quale, venerdì 8 agosto, per il ciclo di appuntamenti con la kermesse “Etna in Scena”, nell’anfiteatro comunale “Falcone e Borsellino” di Zafferana Etnea (Ct), alle ore 21, il cantautore Vincenzo Spampinato schiuderà il proprio spettacolo intitolato “Venditore di Nuvole”, una sorta di viaggio introspettivo, policromo e gravido di sorprese, che vedrà la presenza, in qualità di ospite, della cantautricecanadese Laura Palumbo. “Uno spettacolosemplicissimo – dichiara Spampinato -, da intendere come il racconto di un uomo che crede ancora nei sogni. Un sognatore, per dirla usando le parole di John Lennon, credente, fervente. Potremmo dire un Hellzapoppin’, perché salta da un argomento all’altro, con brani complementari al dialogo che si vuole instaurare con i presenti frequentemente interpellati”.

Potendo scegliere cosa ti piacerebbe donare al tuo pubblico?

“Un sorriso. Se non è immodesto, cerco di divertire con un po’ di intelligenza, di cultura, parlando anche di cose futili che poi vanno a confluire in concetti abbastanza profondi. Chi la fa da padronesono soprattuttoi sentimenti. Parlo dell’amore e voglio che ci si creda ancora e comunque. Sono convinto ci si possa sempre innamorare, “l’amore è un pericolo bellissimo che si ripete”. Solleticare queste corde è un po’ la provocazione del Venditore che, poi, alla fine, non vende nulla, volendo semplicemente dialogare, volendo dare per ricevere nel segno dell’ottimismo che lo pervade dall’inizio alla fine perché, come dice la canzone scelta per iniziare: quando viene l’arcobaleno la pioggia è finita. Questo è il tentativo. Certo, capisco che è dura in questo momento storico però non possiamo sempre non credere”.

Com’ è nata e cosa alimenta la tua passione per la musica?

“Credo mi accompagni sin dalla nascita. Ma, forse, il fatto che mio nonno, del quale mi onoro di portare il nome, suonasse la chitarra e facesse (gratuitamente, non era il suo lavoro) le serenate nel proprio quartiere mi ha contagiato. Certo è che da quando l’ho studiata sono riuscito a vincere la piccola battaglia con la mia timidezza. È una panacea. La più sensuale della arti, come diceva Tolstoj. Alzarsi la mattina e ascoltare “La scala di seta” di Rossini equivale a partire in modo eccezionale, ascoltare la sera, prima di andare a letto, “La serenata per archi” di Tchaikovsky significa pacificarsi col mondo”.

Prima il testo o la musica?

“E insieme? Dipende. Quando devo scrivere una colonna sonora la musica ha un verbo meraviglioso, internazionale. Quando scrivo una canzone per un’altra persona cerco di conoscerla a fondo. Quando scrivo per me stesso la parola e la nota partono e arrivano insieme. Poi, dopo qualche giorno, si penserà al lavoro tecnico. La semplicità è una continua sfida, ritorniamo alla teoria di Diogene, ci proviamo. Il tutto tenendo sempre a mente la responsabilità dell’artista che, specialmente rivolgendosi ai giovani, prima di dire deve fermarsi a pensare”.

Progetti futuri?

“Mi piacerebbe portare questo spettacolo oltre lo stretto nei piccoli teatri perché quello è il mio spazio, lo spazio nel quale, come si dice, voglio sentire ancora il colpo di tosse. E, poi, poi sto pensando di tradurlo per portarlo all’estero. Voglio che il mio futuro sia questo presente, questa cosa che sto facendo”. E fu che – concludiamo con il “Parlato” tratto da “Quando verrà il 3000” “la montagna scese fino al mare sopra lo stivale spuntò il sole, il profeta diventò più spiritoso e le mani si cercarono, e le voci si unirono e l’amore, si, l’amore diventò nuovo”.

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