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Risvegliarsi (2014)

 

Un uomo si propone il compito di
disegnare il mondo. Nel corso degli
anni popola uno spazio con immagini
di province, di regni, di montagne, baie,
di navi, di isole, di pesci, di abitazioni,
di strumenti, di astri, di cavalli e di persone.
Poco prima di morire, scopre che questo
paziente labirinto di linee traccia
l’immagine del suo volto.

(Jorge Luis Borges)

 

Se si esclude quello urbano, divenuto di gran (e spesso abusata) moda negli ultimi decenni, il tema del paesaggio è tra quelli meno frequentati ed affrontati nella pittura contemporanea.
Come genere pittorico originale e indipendente, il Paesaggio, al pari della Natura Morta, acquista una propria dignità, ed inizia ad essere considerato tale, solo nel XVI secolo nelle Fiandre e nella Germania riformate.
Perché partire da così lontano nel tempo e nella geografia per entrare nelle invenzioni pittoriche del padano Carlo Cane? Perché è proprio nel Paesaggio, cioè in quell’invenzione remota, che la nostra (e di Cane) Pittura Fantastica ha manifestato con maggiore potenza la sua forza creativa ed espressiva; una corrente espressiva, quella Fantastica, che proprio nelle valli e sulle rive del Grande Fiume Po, da Torino a Ferrara passando in questo caso per la Valenza di Cane, trova ideali e fatali culle. A ritroso nella geografia, ma non nel tempo, è a Ferrara e nella sua pittura che nel tardo Quattrocento si assistono, e non casualmente, ad invenzioni visive in tutto e per tutto progenitrici delle isole volanti, sognate e sognanti di Cane, in quel metafisico Ercole Dé Roberti che a Schifanoia, e non solo, “inventa” paesaggi impossibili e financo città sospese fra le nuvole (vedi l’incantata ed inattesa “Madonna e Santi” oggi a Brera). Immagini ed invenzioni figlie della cultura del tempo, profondamente infarcita di senso del meraviglioso e surreale avanti lettera; una cultura dell’impossibile debitrice ai viaggi sulla luna, ai mondi ed agli oggetti sospesi nel nulla dell’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto, padre di ogni fantasticheria letteraria e dipinta. Poi Torino, città magica per antonomasia, culla, nella modernità, di metafisiche (spesso sulfuree) altrettanto potenti, e nelle cui nebbie e tra afe assordanti, fra architetture concretamente utopiche (vedi la monumentale Mole Antonelliana) il giovane de Chirico pone le basi della propria Metafisica, progenitrice a sua volta di quel Surrealismo francese assorto a quasi “religione” nei primi decenni del secolo scorso. Effettivamente cosa sono le depresse valli del Po, ossia la Padania, avvolte da nebbie infinite se non un “non luogo” nel quale tutto fluttua e arde e si trasfigura (memorabile in tal senso la scena magistralmente e poeticamente raccontata da Fellini nel suo “Amarcord”, quando vecchio nonno – pure lui padano – che, uscito di casa fra la nebbia, si ritrova proiettato, appunto, in un “non luogo” che identifica panicamente con la morte)?
Ecco, dunque, proprio a quelle immagini, e soprattutto a quella fantastica utopia visiva, ricollego da sempre le invenzioni di Carlo Cane, come si vede non sulla mera base di un altrettanto impossibile, evocato ed evocativo sentimento.

Rinascere, 2014 olio su tela intelata 40x30 cm
Rinascere (2014)

Carlo Cane proviene dal mondo della gioielleria, come è fatalmente comprensibile per chi come lui ha vissuto e vive in quella terra. Quell’esperienza ne ha evidentemente coltivato e accresciuto l’amore per l’armonia, la bellezza ed il dettaglio, elementi altrettanto evidenti in una pittura calibratissima, controllata sia pure nel saggio uso dell’apparente casualità delle colature e delle macchie, ordinate e ravvivate ed anzi vivificate, in passato più ancora che oggi, dall’ordine quasi matematico di architetture altrimenti possibili e razionali, sospese, appunto, su spazi aerei totalmente impossibili, e che oggi si arricchiscono sorprendentemente di colori tanto vivaci quanto seducenti.
E qui, in questi azzardi spaziali d’immemore origine, si realizza la magia altrimenti impossibile di una vertigine panica che non esito a definire romantica: tra l’orrido imo ed il sublime si pone quel senso di spaesamento, di mistero, di vertigine appunto, che i romantici dell’Ottocento conoscevano bene ed inseguivano.
Il Paesaggio come genere pittorico, si è detto, nasce lontano nel tempo, ma è verso la metà del Settecento che la natura diventa di moda nei collezionisti, borghesi e nobili, del tempo, proprio, e non è casuale, nel momento in cui nascono quelle che oggi chiameremo “architetture industriali” e la natura inizia a perdere la sua integralità e “naturalità” e nasce la parola “ambiente”. Con l’affermarsi della seconda rivoluzione industriale nel secolo successivo, fatalmente la pittura di paesaggio riacquista una nuova centralità (si pensi solo a Barbizon ed agli impressionisti) e le tematiche ambientali s’impongono con crescente urgenza. In entrambi i casi pare che si affidi proprio all’artificio della pittura il compito di rievocare una natura “naturale”, in un qualche modo tentando di risarcirla, la natura, dalle distruzioni dell’industrializzazione. È l’esperienza, vertiginosa, della “rammemorazione” di una natura incontaminata che non esiste più, e che Jean Jacques Rousseau così bene riconosceva ai “segni” della natura di un erbario ideale: da una particella si può rievocare il tutto.

Ultimi avvisi, 2014 olio su tela
Ultimi avvisi (2014)

Allo stesso modo la natura ha costituito una presenza di costante crescita ed importanza nella pittura di Carlo Cane: il progressivo recupero di paesaggi ideali, che non esistono più e non esisteranno più. O che, addirittura, non abbiamo mai visto perché non sono mai esistiti. Fino al completo balzo nel surrealismo più metafisico, in immagini di pura fantasia e di totale invenzione, nelle quali il paesaggio si anima di essenze faunistiche, presenze animali ideali e funzionali ad una dimensione ormai totalmente visionaria.
Si tratta dell’eterno e ciclico ritorno dell’uomo all’istintività dei suoi desideri e delle sue visioni ideali, contrapposte alla ratio della cultura; quelle stesse visioni, impossibili nella realtà, che accompagnano tutta la storia dell’arte dalle caverne ad oggi, fuori ed oltre da ogni possibilità. Se per i nostri antichi antenati il mistero della natura veniva evocato con immagini gigantesche al limite del mostruoso, nel nostro contemporaneo Carlo Cane quello stesso mistero, affascinante e seducente, si rende visibile nell’insondabile bellezza ed armonia delle sue creature.
Non esiste una logica in ciò, ma tutto è funzionale alla vertigine estatica che scaturisce dalla contemplazione di una natura che non ha più nulla di reale, ma è l’espressione di un desiderio, di un bisogno di armonia e bellezza, di sé stessi (senza questo sentimento sarebbe stata possibile, guarda caso, una natura come quella evocata sul grande schermo, quando Cane aveva già iniziato la sua ascesa visionaria, da James Cameron nei Monti Alleluia o nella flora di Pandora in “Avatar”?).
E qui, davanti a queste immagini inedite e frutto di una ricerca espressiva condotta con evidente serenità, si manifestano tutti i limiti della parola, ad un certo punto incapace di spingersi oltre nel tentare di raccontare immagini destinate all’occhio prima ancora che al cerebro. E qui, forzatamente, la voce del critico deve fermarsi.
Ma non prima, però, di evidenziare come la ricerca espressiva e poetica di Cane si ponga, tanto serenamente quanto coraggiosamente, in un solco pittorico eccentrico e pressoché solitario nel nostro tempo. La nostra contemporaneità artistica, non potendola raggiungere, non ama la Bellezza, quasi che la contemplazione, l’abbandono all’estasi e la conseguente astrazione da essa provocata non fossero accettabili o addirittura possibili in una realtà dominata, come la natura stessa, dall’orrore, dall’ansia, dalla paura e dalla devastazione.
Cane, in piena terza rivoluzione industriale con i conseguenti, drammatici problemi ambientali, ci offre una nuova ed inedita possibilità di “rammemorazione”. L’erbario sentimentale di Rousseau è qui sostituito da immagini impossibili di un mondo possibile solo nella dimensione del desiderio. Ed è questa una possibilità tutta ed esclusiva della pittura; una pittura che qui ed oggi si riappropria con forza della propria, originaria funzione estatica, magica, misteriosa: quella di far sognare, di accompagnarci e di lenire l’altrettanto eterno e diversamente tale malessere provocato dalla realtà. Cos’é, dunque, il Paesaggio se non una proiezione? A volte è meglio vivere nei sogni che spegnersi lentamente nella realtà.

14)Alchimie naturali-cm89x60-olio su tela applicata su tavola-2014
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