Pochi versi. Brevi lampi (illuminazioni, appunto, nello stile simbolista) per tracciare gli stati d’animo più “sentiti” nella stagione dove tutto sembra precipitare: le foglie, l’umore, il sorriso. Autunno, la stagione antagonista della Primavera (la rinascita). La stagione dove il “male di vivere” si rinvigorisce, si amplifica. Mesi pieni di simbologie, e non solo per i poeti, in cui le vicissitudini esterne, climatiche, assomigliano a quelle interiori. Si smorzano i contorni delle cose, sperse nella nebbia che spegne i colori ed uniforma il paesaggio, si appiattisce l’umore che si fa scolorito, apatico; l’imbrunire è confacente alla malinconia, la carica; la pioggia riga l’anima. La sintesi poetica, oltre ad esprimere l’ermetismo e , ancora, il concetto di poesia come illuminazione, in questo contesto si fa carico anche di trasmettere l’esiguità della forza, la perdita del contatto (della volontà del contatto) con l’elemento esterno, a favore anche di un certo piacere nell’accoccolarsi dentro se stessi e lì restare, per superare la stagione delle ginocchia sbucciate, il più possibile indenni. Si lascia alle poche parole scritte la loro autonomia (a volte una parola un verso) la loro assolutezza, la loro potenza del non ritorno (“mi muore il cuore” piuttosto che “mi cancella dall’aria”). Poesie a sottrarre, per sottrarsi all’inevitabile desertificazione autunnale, ma con una sufficienza di parole che dicono il necessario per urlare, in un unico fiato, la pena della caduta.
La semiluce
di quando il sole si allontana
da me
il suo rollio atroce
mi cancella dall’aria.
*
Mi pulsi ai timpani
novembre
con i tuoi colori deserti
lancinante hamlet
in un’urna di nebbia.
*
Mi si siede dentro
questa pioggia
appuntita
che sventra la terra
e mi allaga.
*
Quando la sera si semina
sibilando
di vapore
mi muore il cuore.
*
Cade
autunno
coperchio senza cielo
che lacera
e trafigge.
*
Nove novembre
allitteri
con la mia folta tristezza
e mi sbianchi.