Vladimir Pajevic

Quando l’oggetto, il perno di una discussione diventa la poesia, la prima domanda che ci si pone è la più ovvia: “Oggi è importante fare poesia?”. Tale domanda si ricollega al moderno vedere e sentire, percepire, la poesia come qualcosa di superato, di evocativo e sentimentaleggiante, quasi di superfluo. Quest’opinione comune deriva probabilmente da due grandi errori. Il primo è riconducibile allo studio scolasticamente disciplinato della poesia, fatto di analisi linguistiche, metriche, retoriche e di incastri stilistici; studio comunque necessario poiché permette di allargare il bacino di utenza del poetare (nel tentativo di fornire degli strumenti tecnici solo apparentemente superflui) e che ha il grande merito di  far accostare tutti, o almeno buona parte dell’umanità, alla versificazione. Il secondo errore, o meglio, disattenzione, incorre ancor più frequentemente ed è la convinzione, meglio il convincimento, che la poesia sia qualcosa di inattivo, di stantio, che la versificazione sia la semplice espressione del sentire del poeta, dei suoi travagli intimi. In realtà, la poesia è probabilmente la più grande forma di condivisione esistente in ambito letterario e sociale ed è tra le più concrete forme di espressione artistica. La sua concretezza (e compiutezza) risiede proprio nel suo essere incompleta, poiché spesso il “non detto”, il celato, e l’assenza di opportuni (ma in poesia spesso superflui) nessi causali, fanno sì che il pensiero dell’autore, che può apparire fallace, poiché manchevole e incompleto, possa essere arricchito e integrato dall’interpretazione del lettore. In poesia, la monodia espressiva autorale, la singola voce del poeta, che è l’unica che si intravede nei caratteri graficamente ordinati del testo scritto, in realtà diviene espressione del policromo pensiero sociale che sorge dall’innesto, su e nel pensiero dell’autore, e dei suoi “non detti”, del sentire e del vissuto del “fruitore” che diviene una sorta di secondo autore. Se tale processo viene ripetuto per tutti i lettori-coautori che si accostano al testo poetico, ecco che il testo si arricchisce di nuove e sempre più vive, poiché diacronicamente più vicine alla realtà del momento, interpretazioni, facendo rivivere non di una sola, ma di migliaia di vite il testo poetico: migliaia di rinascite per migliaia di lettori. Chiunque si accosti ad una poesia, ne darà una sua interpretazione personale, che non è più o meno corretta di quella dell’autore, ma ne è la rinascita speculare e al contempo la naturale prosecuzione. Tale processo di poliedrica fruibilità è, a mio parere, il più adatto per la formazione di un pensiero critico, poiché, anche se l’interpretazione personale del lettore spesso si discosta dalla genesi autorale, questo non danneggia il testo lirico, ma semplicemente lo arricchisce. Tutto ciò, opinione personale e non condivisibile, non è ugualmente riproducibile mediante il testo narrativo, ad esempio, che un testo esplicito e indicativo, nel senso di ben definito, compiuto in se stesso, in cui il “fruitore” viene più che altro invitato ad accostarsi alla narrazione per poter poi interpretare gli eventi e le emozioni narrate (o anche le nozioni esplicitate) ma sempre nei limiti del range di emozioni e nozioni fornitegli dall’autore. Questo range conoscitivo-emozionale nella poesia, non costantemente ma di frequente, si allarga a dismisura, permettendo al lettore di inserirsi e di scegliere fra un vastissimo spettro di esperienze, impressioni e suggestioni, che contiene l’interpretazione autorale e il mirabolante caleidoscopio delle interpretazioni passate e future, poiché il testo poetico è un testo in divenire, che è sempre sul punto di essere, di trasformarsi in qualcos’altro. Ciò è legato anche all’istintualità insita nella poesia stessa che a differenza del testo narrativo o critico non nasce e si perfeziona col sapiente gioco di cesellature e ragionate giustapposizioni dell’autore, ma sorge, innanzitutto, da un pulsante moto interiore, magma primigenio portatore di distruzione (laddove scardina e chirurgicamente analizza) e portatore, al contempo, di vita, di riflessione. Se nel racconto l’autore riassesta, riordina, il pensiero, la poesia invece è libero fluire di emozioni e interpretazioni istintive. Ritornando al quesito iniziale “Oggi è importante fare poesia?”, risponderei affermativamente: è importante “fare poesia” per combattere l’atrofismo culturale e più semplicemente conoscitivo. Il logocentrismo poetico, inteso come verbo originario in grado di far scaturire l’azione, di portare ordine nel caos, è necessario, anche se, paradossalmente, non avvertito come tale.

 

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