Achille Glisenti, Bambina con cani 1875 BERNINI
Achille Glisenti, Bambina con cani

I cani sono oggi per legge definiti come “animali d’affezione”. Il fatto è dovuto all’ormai pressoché diffusissima usanza di tenere con noi queste simpatiche bestiole tra le mura domestiche. Di condividerne momenti della vita e di creare un legame più profondo rispetto a un rapporto con altri animali che per diversi motivi vivono separati da noi. Mi sorge un terribile dubbio però: loro, i cani, saranno così d’accordo riguardo al sentimento? No, perché ci sono cose che mi fanno pensare al fatto per cui il rapporto d’affezione in questione sia tutto sbilanciato da una parte: da quella dell’uomo. Ci sono segnali che quotidianamente osservo, e che tutti possono notare con un po’ d’attenzione. La mattina, per esempio. Ogni giorno io percorro un buon tratto a piedi per andare al lavoro, circa un chilometro e mezzo, e le scene che si ripetono mi fanno quantomeno riflettere. Appena fuori dal portone di casa mi imbatto nella donna di mezza età, in tuta, che compie la sua mattutina camminata veloce per restare in forma, e che tira con sforzi immani il proprio cane di media taglia, che giustamente e per natura odora ogni angolo, ogni cosa, che per lui è sinonimo di conoscenza, di segnale istintivo, di rapporto attraverso i sensi del mondo. Lo facciamo anche noi. Ecco. Ma il tanto amato cane viene orribilmente strozzato dal collare che si torce terribilmente, e la corda del guinzaglio si tende tanto da spezzarsi quasi, nello stesso istante in cui l’amorevolissima “proprietaria” sbuffa infastidita e si lascia andare ad aperte dichiarazioni di affettuosa comprensione del tipo “dai, muoviti!”, “e cammina!”, oppure con un afflato sentimentalissimo che fa digrignare le mascelle e quasi esplodere le vene del collo, del tipo “mi hai stancato, chiaro?”. Mi lascio alle spalle così tanta dimostrazione d’amore per proseguire verso un incrocio e imbattermi in un uomo vestito di tutto punto e impegnato in una conversazione di lavoro al telefono. Peccato che il soggetto in questione non si sia accorto che il piccolo bassotto al guinzaglio che tiene con l’altra mano si sia accucciato un momento per espletare i suoi impellenti bisogni corporali, e viene perciò trascinato sul marciapiedi, pancia in giù, sforzandosi miserevolmente di riuscire in quello che probabilmente ha dovuto tenere per tutta la notte, con le zampette che cercano in tutti i modi un appiglio, le unghie che raspano sui sampietrini e si logorano nel vano tentativo di bloccare il trascinamento. Niente, il nostro quadro dirigenziale, con tono di voce altissimo, continua la sua sacrosanta telefonata di lavoro, indefessamente prodigo ai suoi doveri, incurante della bestiola che cerca nei passanti uno sguardo di comprensione. Colpito ancora una volta da così tanti riguardi nei confronti di un cane, sempre più commosso e conciliato con il mondo, mi muovo spedito fino a imbattermi nel giovane energumeno dai bicipiti possenti che cammina dritto e sicuro al centro della strada con il suo pitbull dalle zampe potenti. Con un gesto improvviso il muscoloso proprietario colpisce violentemente l’animale sul muso, in modo ripetuto, sottolineando frasi autorevoli che vogliono far capire al cane che gli ordini si rispettano e che le botte sono il giusto compendio per chi, come lui, ha impunemente trasgredito un ordine perentorio. Ancora due o tre schiaffoni e la bestiola si rimette in carreggiata. Ah, la terribile colpa del simpatico quattrozampe era stata quella di aver indugiato troppo (qualche secondo) in reciproci annusamenti con un esemplare femmina appena incrociata. Al colmo ormai di così tanta umanità e amore non posso far altro che proseguire verso il lavoro, ripensando a una frase di mia madre, in un discorso di qualche tempo fa, rispetto al fatto che l’amore non è mai un fatto unilaterale, eccola: “i cani vanno bene perché non parlano, perché se parlassero e fossero persone allora non andrebbero più bene”. Amen.

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