Le “Canzoni perdute” di Marisa Terzi, una “inedizione” originale della Frittflacc

in copertina un’opera di Giovanni La Cognata, “Cerere”, 2015.

È uscito il primo album di Marisa Terzi, dopo cinquant’anni di assenza dalle scene. Un capitolo toccante della musica italiana che correva il rischio di andare perduto. Registrato a Les Studios Saint Germain di Parigi con una banda di musicisti di grandissima sensibilità, senza i quali a poco sarebbe valsa l’ostinazione di un improvvisato produttore. A dispetto delle previsioni, le “Canzoni perdute” sono finalmente disponibili. Più che un semplice disco è una lunga storia. Imprevisti, ritardi e malintesi hanno contribuito al proliferare di un gran numero di aneddoti; a furia di parlare dei ricordi passati, si è passati al coniarne di nuovi.

«Questo libro di canzoni pressoché inedite raccoglie i brani scritti segretamente da Marisa Terzi negli anni Settanta, oltre alle ultime composizioni di Carlo Alberto Rossi cui lei, sua moglie, prestava le parole. Sono canzoni nuove scritte tanto tempo fa. Raccontavano – in presa diretta – ciò che lei viveva; troppo da vicino perché lui ne cogliesse l’addio. Il nuovo arrangiamento ha spogliato la melodia (protagonista indiscussa), resa ancor più disarmante grazie a un quartetto di artisti che, ignari di tutto, hanno potuto così rispettare l’essenza delle partiture, senza lasciarsi influenzare dal genere.
Alex Neilson, Victor Herrero, José Luis Herrero, Eric Chenaux. Sono stati le chiavi, la combinazione che mi ha consentito di addentrarmi in questo universo di smarrimento senza perdermi. Marisa, in voga nei primi anni Sessanta, non cantava da cinquant’anni. Ho inseguito il sogno di questo disco per vent’anni e ne abbiamo impiegati tre solo per realizzarlo, con lunghe pause tra le fasi di lavorazione. Undici canzoni di cui una di dieci minuti. Dieci sono anche i giorni passati insieme a Parigi, di cui sette in studio di registrazione. Più una scomposizione in stile Etceterista in anteprima assoluta. Questi sono i numeri di questo disco. Convincerla non è stato facile, e neanche portare a termine il lavoro. Alla fine, infischiandocene delle regole di mercato e delle nuove tendenze di fruizione (e dei soldi ormai spesi), abbiamo optato per una “inedizione” vera. Qualcosa che si nega manifestandosi, dando corpo all’assenza -per restare in tema con la musica. Ovvero realizzare il prodotto nei minimi particolari, dal supporto alla grafica, dalla dedica alle note di copertina, mantenendolo però fuori catalogo (una vecchia fissa). Dando vita a un fantasma, qualcosa che esiste per sentito dire. E diffondendo queste canzoni soltanto con il passaparola. Insinuandoci in quella rete reale fatta di persone, con tutto il loro bagaglio emotivo, malinconia compresa. Ciò che intendiamo è che le delusioni e le amarezze, come anche lo scoramento e la stanchezza, meritano d’essere vissute appieno. Sono forme d’energia introversa che messa in gioco riserva non poche gioie. Pur sempre Canzoni di melancolia, questo sì, ma possono tornare utili; i dispiaceri servono a orientarsi. In fin dei conti il negativo non è altro che la matrice del positivo. Se è per questo anche i ricordi si formano al rovescio, dimenticando. La stessa tecnica, quella di togliere il superfluo, che abbiamo adottato nell’arrangiare questa breve rassegna di ricordi mancati.
Il disco è stato concepito, orchestrato e realizzato bevendo un solo vino, quello magico di Josko Gravner, maestro visionario, anarchico e utopista (per come la intendo), artista contadino a cui sono molto legato. Le bottiglie di Josko sono uno dei pochi motivi per gioire delle annate che passano».

Jacopo Leone

(Inedizioni Frittflacc Etcetera, 2017 – www.frittflacc.it)

Marisa Terzi (anni Sessanta)
Marisa Terzi (anni Sessanta)
Foto © Etcetera – F. Italiano

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