Le città dell’anima
a cura di Tiziano Broggiato
(Luigi Pellegrini Editore)
In questa antologia curata da Tiziano Broggiato alcuni tra i principali poeti italiani (Anna Buonisegni, Rosita Copioli, Antonio Di Mauro, Vivian Lamarque, Valerio Magrelli, Roberto Mussapi, Umberto Piersanti, Giancarlo Pontiggia, Fabio Pusterla, Loretto Rafanelli, Davide Rondoni, Angelo Scandurra, Stefano Simoncelli, Gian Mario Villalta) raccontano l’anima dei luoghi dove vivono, dove scrivono. I poeti riportano nelle loro opere il gorgo o il sorvolo che li domina nel momento della creatività. È altrettanto naturale, poi, che la loro scrittura sia convogliata su canali in cui influisce in modo significativo il posto in cui nasce. Un innegabile connubio, a questo punto, tra anima e luogo. Il simbolo di un’anestesia chiamata speranza. Nel contributo che i poeti invitati hanno qui offerto, è sorprendente l’estrema, totale innocenza con cui si sono concessi. Nelle loro confidenze nessuna zona impraticabile: tutto è chiaro e immediato come una confessione. I loro interventi si leggono come autentici pezzi di bravura: una scrittura sulla scrittura alla stregua del sempre mirabile “Pomeriggio di uno scrittore” di Peter Handke.
La parola data
Milo De Angelis
(Mimesis)
La traccia di uno dei più importanti e riconosciuti poeti italiani contemporanei, riferimento essenziale per le generazioni a seguire. Il testo è composto da una serie di interviste fatte a Milo De Angelis tra il 2008 e il 2016 da giornalisti, critici e amici che hanno così creato pagine corali. Dice lo stesso poeta: “in questi colloqui vengono chiariti e approfonditi i temi classici che percorrono tutta la mia opera (l’adolescenza, il gesto atletico, la morte, la solitudine, il carcere) con una varietà di voci che mutano a seconda dell’interlocutore e della situazione in cui avviene il dialogo”. Il libro contiene un DVD, un film-documento di Viviana Nicodemo intitolato “Sulla punta della matita” che attraversa, in modo mirabile, i temi che hanno ossessionato l’opera poetica di De Angelis: la giovinezza, la città, la morte, la gioia, il gesto atletico. Il documento della Nicodemo pone in essere una narrazione densa e precaria come se tracciasse “sulla punta di una matita” con un tratto quasi geometrico, la vita del poeta, con abbozzi, appunti sparsi, ricordi, ma anche attraverso versi cruciali di uno dei più significativi poeti del nostro tempo.
Friedrich Nietzsche
di Susanna Mati
(Feltrinelli)
“Oggi non possiamo non dirci nietzschiani, perché il mondo di N. è diventato il nostro mondo; non potrà mai più darsi, in modo credibile, una filosofia che abbia come riferimento la figura della verità in senso forte. N. lo sapeva, come tutti coloro cui è dato di scandire e segnare le epoche”, scrive Susanna Mati. Un libro strutturato secondo la forma del labirinto, che si confronta con i molteplici volti del grande filosofo, perché essere nietzschiani oggi significa smascherare anche il maestro che ci ha insegnato le virtù psicologiche dello smascheramento. Avrebbe mai potuto Friedrich Nietzsche, il filosofo più influente nella contemporaneità, fare un’altra filosofia? Il Nietzsche dei manuali viene improvvidamente riassunto in formule, come se il superuomo, la volontà di potenza e l’eterno ritorno fossero concetti inequivocabili. In realtà il senso di quelle formule, esposto alle più diverse interpretazioni, rimane tutt’altro che trasparente e profondamente enigmatico. Contro il Nietzsche citato a vanvera, pronto a sostenere qualunque tesi, questo libro si domanda: e se invece Nietzsche non sostenesse alcuna tesi? Se il suo pensiero fosse per l’appunto l’esempio di un pensiero sperimentante, antidogmatico, antifanatico? E se ciò fosse dovuto innanzitutto al tratto estetico che lo caratterizza? L’ipotesi sconcertante e liberatoria che propone Susanna Mati, dunque, è che si debba congedare l’immagine del Nietzsche pensatore oracolare e soprattutto dottrinale.
Letteratura e Psicanalisi
a cura di Daniela Marcheschi
(Marsilio)
Freud e la Psicanalisi hanno contratto vincoli stretti con le letterature antiche (i miti e i tragici greci) e moderne e il loro potente sguardo su reale e immaginario, conscio e inconscio. Vincoli altrettanto stretti ha stabilito la Letteratura con la Psicanalisi. Bastino i nomi di Joyce, Svevo o Breton e il Surrealismo per evocare un rapporto che, però, si è presto impaniato in vere e proprie liaisons dangereuses. Qual è con precisione il debito che la Psicanalisi ha verso la Letteratura? E come può oggi fornire chiavi interpretative per leggere ad esempio la poesia? Ancora, quali sono gli statuti specifici di Letteratura e Psicanalisi? Come possono dialogare, intersecarsi i loro orizzonti? E come li pensò lo scrittore Dino Terra (1903-1995), fra i primi a introdurre la Psicanalisi in Italia? I saggi raccolti in questo volume gettano una luce originale su tematiche e questioni teoriche, date fin troppo per acquisite.
Letteratura e giornalismo
a cura di Daniela Marcheschi
(Marsilio)
Il bisogno di approfondire la conoscenza della letteratura contemporanea in prospettive rinnovate urge per i rapporti fra quest’ultima e il giornalismo. I due generi paiono oggi smarrire la coscienza dei propri caratteri di autonomia ed eteronomia e tralasciare la riflessione su statuti e origini comuni alla base della Modernità. È quindi fondamentale un percorso interdisciplinare che ne risvegli la consapevolezza critica. I contributi di alcuni fra i maggiori scrittori, critici, giornalisti, studiosi italiani e stranieri, direttori di supplementi culturali non solo chiariscono in modo originale aspetti teoretici e scelte capaci di orientare letture e informazione dei lettori, ma illuminano in modo insolito anche le ragioni della produzione letteraria e giornalistica di personalità come Benedetti e Bianciardi, Borsa e Gobetti, Campanile e Collodi, Fogazzaro, Giovannini e Giannini, José Martí e Fernando Pessoa, Pannunzio, Terra stesso e Zavattini.
Atlas Obscura
di Dylan Thuras, Ella Morton e Joshua Foer
(Mondadori)
Nato da un popolarissimo sito web, Atlas Obscura raccoglie oltre 600 luoghi tra i più bizzarri e misteriosi al mondo. Un compendio di prodigi naturali e architettonici in grado di ispirare al tempo stesso meraviglia e il desiderio irrefrenabile di viaggiare. Dal pozzo a gradini in India che ricorda un’opera di Escher alle grotte delle lucciole in Nuova Zelanda, dal gigantesco baobab in Sudafrica che ospita al suo interno un bar alla “festa del salto del neonato” in Spagna, Atlas Obscura ci delizia mostrandoci tutto quanto, al mondo, è inaspettato, misterioso, nascosto. E ancora, il grande organo a stalattiti in Virginia, il cratere in Turkmenistan – detto la “Porta dell’inferno” – che brucia da oltre 45 anni, le bare appese alle pareti rocciose di un promontorio nelle Filippine, o il “pronosticatore di tempeste” azionato da sanguisughe conservato nel Devon, in Inghilterra… Più Wunderkammer che guida tradizionale, Atlas Obscura è dedicato al viaggiatore da poltrona come all’amante delle avventure più estreme. Con descrizioni accurate e avvincenti, centinaia di fotografie, grafici e mappe di ogni regione del mondo, è un libro da aprire dove capita e leggere. Con un’unica avvertenza: una volta cominciato è impossibile smettere. Contiene una sezione ampliata dedicata alle destinazioni in Italia.
Per assassinarvi – Piacere, siamo spettri
di Savina Dolores Massa
(Il Maestrale)
Due sillogi diverse per le infinite tonalità di una voce sempre fuori quadro. Nel cartografare un’interiorità cresciuta e lievitata sulla ferita del vivere come nell’innervare la partitura surreale di storie sospese tra la leggerezza di un ordito onirico e la pesantezza del reale. Il fascino della parola impudica e corporea per una poesia non consolatrice, ombra capace di denudare, in drammatici auto da fé, i mostri mai uccisi della notte dell’ego occidentale. I sentieri disattesi del sé, dell’ascolto dell’altro e della vita in una fiamma suo malgrado rigeneratrice tra il mondo e la solitudine assoluta. Nel diagramma di un’opera dove “parole barocche” intrecciano alla sensualità una istintiva intensità concettuale, simboli onirici come grumi di dolore, affondi impietosi nelle faglie del quotidiano, crimini domestici e la violenza della storia. E dopo il circolare viaggio sciamanico della prima silloge il percorso danzato della seconda. Anarchia visionaria di una ballata dove l’intreccio dei versi rende il passo della morte e i colori della vita. Epopea di “chi nasce dal fango dell’antica palude in Campidano”. Poesia come dolore, ma anche indomabile resistenza.
Sono stato più cattivo
Enrico Ruggeri
(Mondadori)
È il 1975, siamo in una discoteca di Londra. La serata sta per finire, un diciottenne italiano, in pellegrinaggio con gli amici nella capitale della musica, sta ballando un lento con una ragazza. Vuole fare colpo. «Sono un musicista» le sussurra all’orecchio nel suo inglese stentato, «forse un giorno qualcuno ballerà con una delle mie canzoni». L’inglesina non alza nemmeno lo sguardo. «I don’t think so», non credo proprio, risponde con una smorfia. Due anni dopo, quel ragazzino firmerà il contratto per il suo primo disco. Dodici anni dopo, conquisterà la prima vittoria al festival di Sanremo e un disco di platino. La rabbia per quelle parole londinesi – e per molte altre cose che gli erano già successe – è stata, confessa oggi, un motore straordinario. In occasione del suo sessantesimo compleanno, Enrico Ruggeri, per la prima volta, decide di raccontare la sua vita. E lo fa partendo dal principio, dalla sua infanzia milanese, la depressione del padre – uomo intelligente e affascinante che però non riusciva ad andare a prenderlo a scuola tanta era la fatica di alzarsi e uscire da casa – e l’abbraccio di due generazioni di donne forti e iperprotettive che, con le migliori intenzioni, contribuivano alla sua solitudine. Si continua con gli anni del liceo, nella Milano dei ’70, in cui era quasi impossibile sfuggire al conformismo della contestazione, che nell’imporre mode e gusti alternativi passava in un attimo dal grottesco alla violenza. Intanto c’era stata la prima delusione amorosa e, soprattutto, l’incontro con la musica – i 45 giri dei Beatles, di Lou Reed, dei Roxy Music da ascoltare in loop tutto il pomeriggio – e il sogno di fondare una band. Si arriva così all’università, alla comparsa dei Decibel sulla scena punk milanese, alla nascita di sodalizi musicali indissolubili come quello con Luigi Schiavone, alla lunga, altalenante cavalcata verso l’affermazione. Partendo dalla convinzione che siamo quello che viviamo, nel bene e nel male, e che “scrivere può salvarti la vita”, Ruggeri compone uno splendido memoir letterario onesto e spietato, una corsa sulle montagne russe che, ripercorrendo con affetto e durezza la sua vita, tappa dopo tappa, illumina tutti i successi e i fallimenti, le cadute e le rinascite.
Sei Quattro
Hideo Yokoyama
(Mondadori)
Se Mikami Yoshinobu, il capo ufficio stampa della polizia regionale, potesse trasferire lo sconforto che prova nel corpo di un suo nemico, quest’ultimo stramazzerebbe di schianto per il dolore: sua figlia Ayumi è scappata da casa, a soli sedici anni, e da tre mesi è introvabile. L’ultima volta che Mikami l’ha vista era accovacciata al buio in un angolo della sua stanza e si colpiva il volto con i pugni, se lo graffiava. “Non la voglio questa faccia” gridava. Ayumi era convinta di avere un viso bruttissimo, come quello del padre. Questo straordinario crime giapponese, paragonato dal «Guardian» ai romanzi di Stieg Larsson, si apre con una scena all’obitorio dove Mikami, appunto, è stato chiamato per identificare un corpo di ragazza, forse quello della figlia. Che non è, con sollievo dell’ex ispettore. Per ovvie associazioni, dolorosi ricordi si fanno strada nella mente del poliziotto riportandolo al 1989, il sessantaquattresimo e ultimo anno dell’era Shúwa, e a un problematico caso che la polizia all’epoca non era riuscita a risolvere. Una bambina era stata rapita e uccisa, nonostante il pagamento del riscatto richiesto. I colpevoli mai trovati. L’impopolare caso Sei Quattro, come era stato chiamato, che da anni ormai aveva steso un’ombra sulla credibilità del dipartimento e delle istituzioni, in una società dove il primo comandamento è quello di “non lasciare mai un crimine impunito”. Un caso che riemerge rra, dopo quattordici anni, dal momento che il capo della Polizia nazionale vuole venire in visita per scusarsi ufficialmente con la famiglia della fanciulla uccisa.