rubrica i venti
Cara me stessa,
ti scrivo come scriverei oggi ad ogni compagna di viaggio, a quelle che ti accompagnano per caso, un giorno, per lo spazio di un incrocio. E a quelle che ti seguono da sempre. Quelle che non hai bisogno di voltarti per sapere che non ti lasceranno cadere, o cadranno con te, per attutire il colpo.
Spero che tu le abbia tenute con te.
Spero che tu non abbia avuto paura di indicare alle ombre di cambiare strada.
Ti scrivo per ricordarti l’odio e i vent’anni.
Quanto adesso fremi di fronte alle ingiustizie. Quanti pugni vorresti tirare agli uomini che non trattano da donne, e agli umani che non trattano da uomini.
Ti scrivo per raccontarti dei caffè, ché ci pensi a prenderne troppi. Degli appuntamenti, ché ci pensi ad accettarli.
Ti scrivo per le pagine che salti e per quelle che vuoi, troppo, sapere.
Ti scrivo delle luci di notte, quando sei sola in macchina e non hai paura.
Quando non temi la solitudine e le dici che non ti fa paura.
Quando ti batti contro ciò che si nasconde e, scoprirlo, non ti fa paura.
Quando alla domanda -cosa vuoi diventare? Rispondi -giustizia. E conti i minuti.
Quando vuoi difendere, e ridi pensando alle pagine che mancano.
Quando la strada si fa passo, non dimenticare mai di come si brucia a vent’anni.
Di come bruci la delusione: non permetterti mai di esserlo.
Di come bruci la gratuità di certo male: non arriverai mai abbastanza in alto da essere legittimata ad infliggerlo.
Di come rinneghi la possibilità di prender la forma di chi ha perso, per passare in prima fila, se stesso: non perderti. Rinnega sempre con la stessa forza.
Perché se oggi decidi chi vuoi essere, lo scegli per chi vuoi diventare: bene.
Ricorda Pasolini: “non farti tentare dai campioni dell’infelicità”. Leggilo, leggimi, leggi, ogni volta che stai, per perderti.