francesco borrasso ok

Ho sempre pensato che la parola fosse un elemento salvifico.
La letteratura ha in sé il potere di aiutare, di donare al lettore degli occhi differenti.
Scrivere, è per me, soprattutto un atto corporeo.
Molte volte ho guardato alla scrittura come ad un qualcosa di soprannaturale.
Spesso penso che non ci sia alcuna differenza tra il lavoro di scrivere e quello di vedere; non esistono parole che possano essere scritte prima di essere state viste.
La parola, prima di toccare la penna e la pagina, deve essere appartenuta al corpo; è quindi, una presenza fisica, con cui si è vissuto per un’ora o per tutta la vita; come esistere con lo stomaco, la pancia, il cuore.
Della letteratura ho un’idea particolare, penso che abbia il compito di smuovere tutti i nostri organi; debba, in un certo senso, farci male, causarci disagio fisico; in pratica, riesumare tutte quelle cose che cerchiamo di non pensare per quieto vivere.
La scrittura per me è una materia da plasmare, è una rievocazione lucida del dolore.
La bambina celeste, il mio romanzo edito da Ad est dell’equatore, parte proprio da un movimento contro natura, il più doloroso possibile: la perdita di un figlio.
La voce narrante del romanzo, Daniel Alberti (il padre), ci porta continuamente avanti ed indietro nella propria esistenza, ci trascina nel proprio lutto, in maniera controllata.
Ma a differenza di quello che possa sembrare, La bambina celeste, non è un romanzo sul dolore.
In ogni pagina muore Giorgia (la bambina celeste), ma se non ci si fermasse a questo “dettaglio” si potrebbe comprendere come in realtà, tutto il libro rappresenti un canto d’amore.
Le parole del protagonista provano a spiegarci il bene reale, il bene che dura per sempre.
Scrivere questo libro è stato necessario, il ricordo e il lutto sono degli elementi vivi che fanno parte in maniera quasi ossessiva della mia scrittura; in questo gioco che mi concedo con la memoria, posso vedere chiaramente come i libri mi abbiano aiutato a non soccombere in molti punti della mia vita. Oggi la letteratura deve tendere soprattutto a raccontare ciò che l’esistenza umana ci impone di mettere da parte; ritengo di aver assolto il mio compito solo quando alla fine del romanzo, dopo l’ultima parola, il lettore si possa sentire completamente destabilizzato e al contempo compreso.
Il mio scrivere non è un rituale, ci sono giorni interi in cui non do vita nemmeno a una parola, e giorni in cui scrivo praticamente di continuo; il corpo ha bisogno di riposo, tra una pagina e l’altra. Quando ho terminato la prima stesura di La bambina celeste, ho trascorso una settimana a recuperare da tutti i dolori muscolari, somatici a cui mi avevano costretto quelle pagine.
Scrivere non è semplice, per me è un atto di consapevolezza, quando decido di scavare, quando sento di avere qualcosa da dire, so già che ad aspettarmi ci saranno vertigini e stravolgimenti di stomaco, e pancia, e schiena, e gambe molli.
La bambina celeste è un romanzo che rappresenta ciò che sono, ciò che penso, e soprattutto, è un disegno preciso della maniera che ho di intendere le parole, la struttura di una frase; è una conferma della potenza che posseggono le immagini, quando vengono lasciate libere nel nostro corpo e nella nostra mente.

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