L’intervista al pittore figurativo Luciano Regoli, con il suo “colore virtuoso”, vince l’VIII Premio Sciuti.

«Luciano Regoli ha riscoperto un sistema operativo che, agli inizi della seconda metà del Novecento, sembrava definitivamente perduto. Con pazienza e dedizione ha ricostruito l’immagine sfregiata, calpestata, cancellata da certe correnti artistiche; ha ridato dignità e orgoglio a un sistema creativo per lungo tempo osteggiato da un sistema culturale esclusivamente orientato a valorizzare l’informale. Alla tecnica raffinata, allo stile rigoroso, alla poetica della quotidianità, l’Artista affida il suo colore virtuoso». Un passo dall’intensa motivazione, scritta dal Direttore del Premio, prof. Paolo Giansiracusa, per Luciano Regoli, vincitore del VIII Premio Internazionale di Pittura “Giuseppe Sciuti”.

Luciano Regoli è nato a Terni nel 1949. Diplomato al Liceo Artistico, ha frequentato la facoltà di Architettura e la Scuola libera del Nudo all’Accademia di Belle Arti di Roma. Inizia l’attività artistica sotto la guida del pittore francescano Padre Ortensio Gionfra, allievo a sua volta di uno dei più significativi artisti a cavallo del XIX e del XX secolo: il napoletano Carlo Siviero.

Contro tutte le correnti artistiche del suo tempo, in gioventù torna alla pittura figurativa, ricercando il mestiere negli anziani pittori sopravvissuti alle Avanguardie del Novecento. Persegue con tenacia questa via, con fede incrollabile. Dalla fine degli anni Settanta, inizia la sua attività di ritrattista all’estero, presso le grandi famiglie di industriali, aristocratici e uomini di cultura, in Brasile, Francia, Svizzera, Stati Uniti ed Egitto. In Italia esegue ritratti per la nobiltà fiorentina, romana e a personaggi in vista dell’epoca. Del 1980 è il ritratto del filosofo U.G. Krishnamurti e del 1982 quello del Presidente egiziano Hosni Mubarak. Contemporaneamente al ritratto prosegue una intensa attività espositiva fino agli anni Duemila, quando inizia ad occuparsi di arte sacra, lavorando a numerose commissioni di pale d’altare, come la grande pala della Lapidazione di Santo Stefano, per la chiesa romanica in Campioni di Buggiano, o la Beata Gemma Galgani nella chiesa paleocristiana dei S.S. Giovanni e Paolo in Roma.

Su invito del Ministero della Cultura Russo, partecipa, per il Plyos Reservation Museum, al “Green Noise 2013”. L’anno seguente esegue la grande tela raffigurante lo sbarco di Napoleone all’Isola d’Elba, ora alla Pinacoteca Foresiana di Portoferraio, per il Bicentenario dell’esilio dell’Imperatore sull’Isola. Dona al Santo Padre Papa Francesco con Udienza Papale del 17 giugno 2015, il dipinto “La Svestizione del Papa”, ora in Vaticano. È il fondatore de La Scuola di Valle di Lazzaro che propone il recupero della grande tradizione della Pittura Italiana ed Europea.

La bambina di Luciano Regoli (2019, olio su tela, cm 110×62) opera donata al Comune di Zafferana Etnea (Ct)

La sensibilità “poetica” del Maestro Regoli, il suo sguardo colto e rivolto al presente, testimoniato con la naturalezza di colui che guarda con passione alla pittura del passato, ha orientato le nostre domande.

Com’è nata la sua passione per l’arte?

L’Arte non è una passione, con l’Arte dentro ci nasci, c’è o non c’è. Credo che in me ci sia sempre stata, anche se io male la coltivavo, ribelle com’ero, ma anche se da giovanissimo ero costretto a fare altre cose, segretamente Lei mi spingeva sul suo sentiero.

Quando si è messo in ‘azione’?

Per quanto riguarda la pittura (poiché in gioventù ero un cantante rock), mi ci dedicai seriamente proprio dopo un settennato di esperienze musicali che alla fine mi stancarono, e sprofondai, poco dopo i vent’anni, nella pittura.

Esiste un aneddoto che vuole raccontarci?

All’inizio andavo alla cieca poiché non avevo basi tecniche sufficienti, ma copiavo, sia nel museo che da riproduzioni, a grandezza naturale i grandi capolavori di tutti i tempi, da Caravaggio, a Velázquez, a Tiziano, e ne feci per un breve periodo un mestiere per sostenermi. Poi decisi di diventare un vero pittore e mi accolse nel suo studio un frate francescano, nel Convento di San Bonaventura al Palatino davanti al Colosseo, Padre Ortensio Gionfra che era stato allievo di Carlo Siviero, un famoso pittore napoletano a cavallo fra Ottocento e Novecento, che a sua volta fu allievo di Domenico Morelli, Direttore dell’Accademia di Belle Arti di Napoli che rinnovò la pittura napoletana da un accademismo stantio. Lì, nel Convento, per un anno studiai seriamente la pittura dal vero, e capii che quello era il mio destino.

 La sua pittura dagli esordi ad oggi, verso quali ‘mete’ si dirige o vorrebbe si dirigesse?

La mia pittura non ha mai deragliato dall’obiettivo di recuperare una maniera, quella figurativa classica, che già all’inizio della mia carriera, cioè negli anni Settanta, era quasi completamente abbandonata sia nelle Accademie che nei Licei Artistici, dove dominava l’insegnamento dell’informale e del “casuale”. Quindi mi trovai solo, o quasi, in un mondo artistico (critici, gallerie, ufficialità) che non mi voleva poiché ero un pericolo per il mondo dell’arte, giovane com’ero, nel tornare indietro alla classicità.

Potendola definire, ci dice qual è la sua poetica pittorica?

Si può fare bella pittura, è vero, con un bel mazzo di fiori, un bel ritratto o un paesaggio, ma ciò che cerco e ho sempre cercato è un pensiero, un pensiero profondo da innestare nel dipinto, un sentimento forte che arrivi al cuore di chi guarda, quindi un dipinto “pensoso” che mediti sui grandi temi della vita: la Vita stessa, la Morte, il dolore, la gioia. Ecco ciò che cerco.

Qual è il colore che sposa (o vorrebbe sposasse) la sua interiorità?

La mia pittura si basa, come quella di alcuni miei maestri antichi e moderni, sul “colore” inteso come lo intendevano i Veneziani Tiziano, Tintoretto, Tiepolo, ecc., che si distinguevano dagli altri per il colorismo delle ombre, cioè l’ombra colorata, che sfuggiva agli altri pittori. Infatti la grande pittura europea deriva dai Veneziani. Tutti guardarono a Tiziano, da Rubens, a Caravaggio, a Velázquez, e il colore si fece “proprio” di quei pittori. Quindi per me non c’è un colore preferito, ma c’è “il Colore”.

Cosa vorrebbe suscitare in coloro che osservano i suoi dipinti?

La pittura quando è figurativa come la intendo io, e come la insegno nella mia “Scuola di Valle di Lazzaro” all’Isola d’Elba, è immediata; è un pugno nello stomaco, è una rivelazione, non ha bisogno di tempo per essere goduta, come un libro ad esempio, o una musica. Questi hanno bisogno di tempo per essere capiti e goduti. La pittura è sincera! È un attimo, o ti parla o è muta. È questo che cerco, parlare all’osservatore immediatamente, e trasmettergli quel pensiero profondo di cui parlavo prima.

Oggigiorno quali sono (o dovrebbero essere): funzione dell’arte e responsabilità dell’artista?

Tutto ciò che è accaduto dal dopoguerra in poi (fatte le dovute eccezioni), è stato un continuo martellamento per sminuire i veri valori dell’Arte: educazione, gusto, ideali. Tutto ciò è palese, oggi la figura dell’artista e la sua funzione svaniscono in una nebbia decretata da decenni di mistificazioni, complicità politiche, artistiche, finanziarie, e parlare di responsabilità dell’Artista è arduo, poiché prima dovrebbero rinascere gli Artisti. Se ci siamo persi è anche colpa di aver dimenticato gli intenti della vera Arte.

Esiste un’opera (un dipinto di altri artisti) nel quale ama ‘rifugiarsi’?

Spesso quando ero un giovane pittore mi rifugiavo a Roma, dove abitavo, nei Musei, per trovare conforto da una solitudine artistica che pesava. E d’inverno uscivo dal mio studio di Piazza Navona e mi incamminavo verso Palazzo Doria Pamphilj, dove in una saletta solitaria, illuminata da una luce fredda che proveniva dall’alto, dominava il ritratto di Innocenzo X di Diego Velázquez, il più bel ritratto della storia dell’arte. Lì divenni ritrattista.

Qual è stato ad oggi il più grande insegnamento ricevuto in dono dall’arte?

La Libertà! Nascere artisti e vivere della propria arte, in un mondo condizionato ed opprimente come quello che abbiamo voluto, è una benedizione. Puoi fuggire e sfuggire al mondo se sei libero dentro, e questa è la Vera Arte: saper fuggire ed essere liberi dentro.

Dovendo scegliere tra i suoi dipinti quello dal quale si sente meglio rappresentato (quello che rappresenta al meglio la sua ‘poetica’) quale sceglierebbe?

Nel 1992, cioè trent’anni fa, agli albori del condizionamento tecnologico che ci ha resi schiavi, feci un grande dipinto Die Technologie, che era un grido contro il condizionamento e una meditazione sulla fine della vecchia cultura. Cito da una mia presentazione in catalogo: “Il dipinto del 1992 rappresenta un’allegoria nei confronti della tecnologia, vista come “nuova religione” strisciante. La lama di luce azzurrognola al centro del dipinto suggerisce l’oggetto tecnologico per eccellenza: il computer (non era stato ancora inventato lo schermo piatto n.d.r.). La composizione volutamente drammatica ci mostra alcuni giovani stimmatizzati dalla “nuova religione”. Un bambino al culmine della composizione osserva incuriosito e affascinato la luce azzurrognola. A destra, la vecchia cultura in disparte simboleggiata dal gigante ai cui piedi giacciono dei libri, e, di rimando sulla sinistra, i “sacerdoti” della “nuova religione” che officiano il culto: un maiale e una scimmia. L’Autore impotente osserva la sua allucinazione, ritirandosi nel buio.”

Pensando agli ultimi (‘terrificanti’) accadimenti che hanno visto (uno per tutti – il tentato sfregio all’opera di Van Gogh fortunatamente ‘protetta’ da un vetro), sintomo di una società ‘malata’ ipnotizzata da ‘sieri’ quali “cancellazione della cultura” o “svalorizzazione di ogni valore”, cosa vorrebbe commentare?

“Ribellione”, questa parola non fa più parte del nostro vocabolario interno, è stata completamente cancellata dal condizionamento impartito negli ultimi decenni. Ribellarsi in certi momenti è la cosa giusta da fare. Quindi datevi da fare; io l’ho fatto.

Per concludere, come commenta la vittoria del prestigioso “Premio Sciuti”?

Devo dire che mi ha colto di sorpresa. Amo la Sicilia e la vostra gente, seria e di parola, e verrò con gioia e animo leggero da voi, che avete compreso i miei intenti artistici.

*

Con il Sindaco, Salvo Russo, e il Direttore artistico, Paolo Giansiracusa, la giuria, presieduta da Graziella Torrisi e formata da Carmine Susinni, Roberta Ferlito, Giuseppe Cristaudo, Mario Pafumi e Rocco Froiio.

La giuria, presieduta da Graziella Torrisi e formata da Carmine Susinni, Roberta Ferlito, Giuseppe Cristaudo, Mario Pafumi e Rocco Froiio, presente il Comitato Organizzatore, diretto da Corrado Iozia, formato da Alfio Tropea, Anna Fichera, Emanuela Montanucci, Silvia Pagano, Graziella Bonaccorsi, Stefano Puglisi, Marinella Fiume e Nellina Ardizzone, assegnerà la menzione d’onore. «Vivo orgoglio premiare l’eccellente Regoli – dichiarano all’unisono il Sindaco Salvo Russo e Graziella Torrisi -. Assegneremo, inoltre, altri importanti riconoscimenti: al Maestro Jean Calogero, nel centenario della nascita; al Maestro Corrado Papa, il “Premio alla Carriera”; al pittore Francesco Sgarlata il “Premio Giovani Emergenti”; il “Premio Amico dell’Arte” all’Ance di Catania.

La cerimonia di premiazione, si terrà al Palazzo Municipale di Zafferana, sabato 5 novembre, ore 18 (per l’occasione, Regoli donerà il proprio olio “La bambina”, 2019), sarà animata da momenti musicali con Mariangela Cavallaro (fluato), Elisabetta Messina (fagotto), Emanuele Geraci (oboe), Gianvito Messina (corno) e Mirco Fatuzzo (clarinetto). Ingresso libero.

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