Maria Grazia Insinga, “la poesia serve a cadere”

 

Maria Grazia Insinga (della ph di Beppe Ferrigno) nasce in Sicilia il 20 aprile 1970. Dopo la laurea in Lettere moderne, il diploma in Conservatorio e in Accademia si dedica all’attività concertistica e all’insegnamento nelle scuole secondarie. Nell’ambito degli studi musicologici censisce, trascrive e analizza i manoscritti musicali inediti del poeta Lucio Piccolo. Suona in un duo pianistico ed è docente di Pianoforte presso l’Istituto “G. Verga” di Acquedolci. Nel 2014 la raccolta La porta meta fisica è segnalata al Premio Montano. Sempre nello stesso anno, con il sostegno dell’Assessorato alla Cultura di Capo d’Orlando, idea il Premio di poesia per i giovani “Basilio Reale” La Balena di ghiaccio giunto alla terza edizione e presieduto da Emilio Isgrò. Fa parte della giuria del Premio Internazionale di Poesia Don Luigi di Liegro da quattro anni. Alcuni testi si trovano nell’antologia Il rumore delle parole (Edilet, 2014) curata da Giorgio Linguaglossa, nel secondo volume dell’antologia Blanc de ta nuque (Le voci della luna, 2016) curata da Stefano Guglielmin e in Umana, troppo umana (Aragno, 2016) a cura di Fabrizio Cavallaro e Alessandro Fo. Nel 2015 vince il concorso Opera prima, iniziativa editoriale diretta da Flavio Ermini e a cura di Poesia2punto0, con la silloge Persica (coedita da Anterem e Cierre grafica). Nel 2016 entra a far parte del consiglio editoriale di Opera prima. Nello stesso anno la raccolta Ophrys è finalista alla XXX edizione del Premio Lorenzo Montano. Nel 2017 realizza, con gli acquarelli di Alessandra Varbella, il leporello in versi Etcetera (Fiorina) e pubblica, inoltre, la raccolta Ophrys (Anterem, collana Limina).

Mi racconti ‘come vivi’, di ‘che cosa vivi’ e se è vero che di rime non si vive?
Vivo a Capo d’Orlando tra le spume e le isole in fronte all’isola, la Sicilia. Sono musicista e insegno pianoforte nelle Acquedolci dell’Istituto “G. Verga”. Nel “quartodisotto codata e nel quartodisopra infantina e bambinesca” – giocando con la gigantesca Horcynus Orca – vivo così: di musica e rime. Un privilegio. Nel 2014 ho ideato il Premio di poesia La Balena di ghiaccio, dedicato al poeta orlandino Basilio Reale e presieduto da Emilio Isgrò, attraverso cui tento di condividere questo privilegio spargendo poetici semi d’arancia tra i giovani. Di poesia si vive, si vive solo di poesia o non si vive. In questi ultimi tre anni ho vissuto grazie alle mie raccolte di versi: Persica (Anterem), Ophrys (Anterem), Etcetera (Fiorina). Ora dirigo una collana della casa editrice Fiorina, Isolario: un nicchiarello di carta viva piegato a fisarmonica e “allisciato ancora alla grande calmeria di scirocco”, direbbe D’Arrigo. La vita, dunque, si mette a repentaglio sulle vie di acqua e vino – aluntino mamertino malvasia – e sulla scia di sirene e dei loro incantamenti. Ma in special modo in balia del terzo sortilegio di Lighea: quello della voce, Etcetera, etcetera…

Oggi a cosa serve la poesia?
La poesia serve a cadere, sparire nel canto marsorridendo tra le schiume e le isole bipennate e liminali all’altezza del sole. Serve a liberarsi dei lacci di Ulisse per godere a pieno del dono della sirena. Non si è mai visto un intellettuale libero legato all’albero di una nave. La poesia non è un sepolcro; è forse – parafrasando la Lighea di Tomasi di Lampedusa – corrente di vita priva di accidenti e immortale perché tutte le morti confluiscono in lei, da quella del merluzzo a quella di Zeus, e in lei ridiventano vita non più individuale e determinata, ma libera. A questo serve la poesia, ad assumere l’unica postura possibile del poeta: la libertà. Anche a costo di non scrivere più poesia. Ditelo a Ulisse.

Come e quando scrivi (c’è un momento ideale)?
Scrivo dappertutto con un disordine lavico e forsennato. E mi stupisce, alla fine di un percorso in rime, scoprire un ordine inconscio, mentale. Comprendo solamente che questo disordine corrisponde a un superiore ordine, misterioso non intellegibile, un palinsesto musicale. Il momento ideale è quando mi sembra di riuscire meglio a comunicare in versi questo (dis)ordine. E in genere questo momento ideale corrisponde a uno stato di scabra grazia o di ruvida poesia.

Quali sono (per quali ragioni e in quali occasioni) gli autori da rileggere?
Rileggerei Bachmann tra le ondine della Boemia anche quando il mare non c’è; e Achmatova tutte le volte che è necessario zittire i potenti. Rileggerei Celan quando non sappiamo più dirci cose oscure; e la Rosselli che ancora cade, cade e non finisce di cadere insieme a noi. E poi Rilke, quando amiamo qualcosa che non c’è, un unicorno o una bestia rara non ancora catalogata dal pensiero; e poi Reale perché abbiamo sempre bisogno di un’isola o Cattafi quando scopriamo che lo scopo dell’isola è cadere in tentazione. E le sirene? Leggerei Busacca, Stecher, Costa. E Insana, Jolanda, insana pure nel nome. Infine, leggerei Bach ogni giorno, tra un silenzio e l’altro e nessun silenzio, quando la poesia viene meno e neanche io mi sento tanto bene.

 

versione fedele e integrale dell’intervista, a cura di Grazia Calanna, apparsa sulla rivista Elle (Ottobre 2017).

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