Mattia Cattaneo, “Partiture di pelle”, il dolore personale “si spande all’interno di un dolore pervasivo che riguarda tutti”.

tre domande, tre poesie

Il corpo di una madre che soffre, è il pane quotidiano spezzato, la forma d’amore per eccellenza che si dona. Per dare significato alla sofferenza, Mattia Cattaneo cerca la sacralità dentro a una tristezza che turba e destabilizza. Il dolore personale, umano, si spande all’interno di un dolore più grande, così pervasivo, che riguarda tutti. La morte di una madre è la pausa, il distacco, lo stallo; per ossimoro, un’aria immobile.

(dalla Prefazione di Maria Concetta Giorgi)

 

In che modo la (tua) vita diventa linguaggio, qual è stata la scintilla che ha portato il tuo “Partiture di pelle”?
Il lockdown del 2020 mi aveva portato un ciclone di dolore, di profonda negatività. Lontano dalla persona amata, lontano dagli affetti, ma vicino però a questo dolore, forse mai così vicino e tangibile. Una lunga conversazione con me stesso, dentro le radici che affondano i corridoi dell’anima, verso le arterie e le cattedrali di pianto che molto spesso affogavano il mio viso. L’incontro – scontro con me stesso ha portato a sviluppare una serie di poesie, contenute in “Partiture di pelle”, che mi hanno permesso di scandagliare meglio quello che stavo provando, dal dolore per la perdita di mia madre nel 2014, sino all’isolamento forzato. Era come gustare il pane della solitudine, senza fioriture. Il linguaggio e la Parola mi sono sempre state d’aiuto così come la poesia che mi è midollo e ossa, scheletro di tutte le parole, quelle piccole parole a cui cerco di dare vita. “Partiture di pelle” è un grande viaggio liquido, scorre, senza maiuscole né titolo, verso un dove che nemmeno ancora conosco ma che trova compimento nell’ultima pagina. Forse una tregua. Allora il linguaggio diventa parola che è varco e acqua, liquido, scorre e fluisce e abbraccia molto simbolismo (il vento, i granai, la pianura , il fiume) e la corporalità (le ossa, le vertebre, la cartilagine).

Riporteresti una poesia (di altro autore) nel quale all’occorrenza ami rifugiarti, rivelandoci cosa “muove” la tua “preferenza”?

E sto abbracciato a te | senza chiederti nulla, per timore | che non sia vero | che tu vivi e mi ami. | E sto abbracciato a te | senza guardare e senza toccarti. | Non debba mai scoprire | con domande, con carezze, | quella solitudine immensa | d’amarti solo io.

Questa poesia di Pedro Salinas, contenuta in “La voce a te dovuta” è una delle mie preferite. La sensazione del non toccarsi ma di essere già abbracciati, di arrivare lì dove si è già arrivati senza saperlo. La complicità dell’esserci senza che ogni volta lo si ribadisca. Non dobbiamo chiedere nulla che non sia proveniente dal nostro motore, nucleo centrale, ossia il cuore. La speranza di restare abbracciati, l’ultima carezza, la solitudine sono parte integrante di ciò che scrivo così come il tono melanconico di questo scritto.

Per concludere, ti invito, per salutare i nostri lettori, a riportare tre poesie dal tuo libro, “Partiture di pelle”; di queste scegline una per condurci a ritroso nel tempo, a prima della stesura completa o della prima stesura, per raccontarci quanto “accaduto” così da permetterci di condividere (e meglio comprendere) il percorso che l’ha vista nascere.

ho slegato la porta
lavoro di silenzio
non chiedo lune
per i miei errori

è l’istante in cui sommergo
le ultime parole
che perforano
fioriere malnutrite.

qui
non sono mai stato
eppure ti chiamo casa
da queste persiane
intrise
di memoria sensoriale
luoghi
che sanno
come bruciare la sete.

cadono a stento
le mani,
nei riflessi di brace
di sere soffiate,
strade
che sembrano sfinite
a oltranza curano i passi

spalanco porte
dalla casa materna
per appoggiarvi la fronte:

tu vedi dal tramonto
che dissangua.

Ecco quest’ultima poesia potrebbe un po’ riassumere il percorso di questo testo. Le mani, le sere, il soffio del vento mi riportano ai momenti in cui l’isolamento del 2020 ci aveva condotto. Le strade sfinite senza i passi delle persone e ancora entrare dentro il dolore, renderlo vivo appoggiando la fronte sulle porte della casa materna. Il calore dell’accoglienza che si contrappone al dissangumento del tramonto, alla fine, alla durezza del freddo della tomba. Ritrovare sé stessi, il proprio determinarsi attraverso le radici materne, nel legame tra terreno e ultraterreno quasi a rappresentare una preghiera laica, salvifica, un balsamo lenitivo che contrasta le ferite, i ricordi amari. Allora ho ripensato al ritorno a casa dopo la sua dipartita unendolo alle immagini dure e crude di quel Marzo 2020.

*

Nato a Trescore Balneario (BG) il 31-07-1988, Mattia Cattaneo abita a Treviolo (BG) ed è laureato in Scienze della comunicazione. Lavora come assistente educatore presso una cooperativa . Ha tenuto alcuni laboratori teatrali per le scuole primarie. Collabora con l’attore e poeta Carlo: i due nel Novembre 2019 hanno dato vita alla loro associazione artistico-teatrale “Architetti delle Parole” portando in scena varie letture teatrali; pubblica qualche piccola raccolta di poesie tra il 2016 e il 2019 e due romanzi nel 2018 e 2019,”E le stelle brillano ancora” e “Dove sento il cuore”. Gestisce il blog e il gruppo Facebook “Circolare Poesia” realizzando di tanto in tanto alcune dirette nel quale legge le poesie di autori contemporanei. Realizza la trasmissione radiofonica “Vento d’emozioni” dedicata alla poesia sull’emittente bergamasca Pienneradio. L’ultimo suo lavoro è la raccolta poetica “Partiture di pelle” edita da Architetti delle Parole.

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