“Ho cominciato da piccolissima a nutrire la passione per le arti, la lettura e la scrittura. A tredici anni scrivevo poesie, alcune furono pubblicate sul quotidiano Il Mattino. A diciotto anni mi suicidai (non “tentai”il suicidio, come comunemente si dice, perché non avevo sperato né previsto di sopravvivere). “Viva per miracolo dopo un volo dal quarto piano” titolarono i giornali. Ho vissuto da giovanissima tre anni a Tunisi dove fu allestita con successo la mia prima personale di pittura. È mia la scultura in bronzo nell’atrio dell’hotel Sabbiadoro a S. Benedetto del Tronto. Negli ultimi tempi mi dedico soprattutto alla poesia. Mi sento testimone del mio tempo e della mia esistenza. Credo nella libertà e nella giustizia. Considero la poesia un linguaggio universale, l’esperanto dell’anima”. Parole di Cristina Bove autrice dopo, Fiori e fulmini (2007), Il respiro della luna (2008) e Attraversamenti verticali (2009), di Mi hanno detto di Ofelia (Edizioni Smasher 2013).
“Divagazioni, divertissement, diletto? Le definizioni colgono solo una parte dell’essenza, restringono il campo e, delimitandolo, lo tradiscono, restituendone, appunto, una versione tranquillizzante perché divulgabile. È bene, allora, diffidare di etichette sbrigative, sottrarsi alla tentazione di catalogare. Consiglio, questo, particolarmente calzante per Mi hanno detto di Ofelia di Cristina Bove. Silloge proteiforme, nel senso più ampio e nobile del termine, poiché dalla ricchezza e dalla mutabilità di forme e di declinazioni della poesia essa trae una linfa originalissima. La parola, quanto mai duttile qui, attraversa tutti gli stati della materia e altri ne crea, mescolando sapientemente e in guisa mai scontata gli elementi ‘naturali’. Chi legge è invitato qui ad avventurarsi su Holzwege, sentieri interrotti nel bosco, a seguire vene sotterranee erroneamente date per esaurite, a percorrere traiettorie divergenti dal canone consolidato, anche da quello che l’epidermica impressione può far percepire come inusuale e innovativo e che troppo spesso, nella poesia contemporanea, non osa oltrepassare la striminzita e logora tessera del canovaccio pseudo-ermetico-essenziale”. Estratto dalla nota critica di Anna Maria Curci.
La strada per il molo
Hai sogni dipinti in verticale
come gli occhi dei gatti
tristi di vissuto a gabbie
per infinitesimi chiacchierii riposti
scaffali imbarcati al centro
a sostenere il peso
dei miracoli
una cicca d’avanzo tra le labbra
il respiro invetriato nella tosse
mi prendo tempo e giro oltre la strada
a filo di gessetti – il marciapiede
dilaga di madonne
dipinte con l’assenzio ed il vetriolo –
non è tempo da tetti né comignoli
vieni sul mare
a guardare velieri controluce
doppiare l’orizzonte e il calendario.
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