L’amore, l’occasione unica di maturare, di prendere forma, di diventare in noi stessi un mondo, ribadirebbe Rilke. L’amore che «ha un unico luogo / dove ripetere le sue impronte». L’amore che «si moltiplica come fa la vita». L’amore che, come la verità, «dispensa luce intorno alle cose». L’amore che nell’attesa si effonde come «il sacro bagliore del sole», dentro memorabili silenzi. L’amore che sbalza il tempo «senza disperdere l’infinito». L’amore, il fondamento di “L’istinto altrove”, nuovo libro di Michela Zanarella, edito da “Ladolfi”, nato nel chiaro segno di stupore, ricerca e sperimentazione, che, come scrive Dacia Maraini nella prefazione, “ci porta lontani e distanti dal mondo reale per abbracciare quelle che credi essere o sono davvero le ragioni della nostra vita”.
“L’istinto altrove”, perché (come non avessimo letto il libro) questo titolo e cosa sottende?
“Ogni volta che preparo una raccolta di poesie compio una sorta di rito: parto dalla scelta del titolo, perché credo debba incuriosire, catturare, afferrare il lettore. ‘L’istinto altrove’ in realtà era il titolo di una poesia che scrissi molti anni fa, a distanza di tempo l’ho recuperato, perché ho sentito quasi un richiamo in quei versi. Sono stata guidata dall’istinto in qualche modo e mi piaceva l’idea che tutto ruotasse intorno ad un luogo indefinito in cui far vibrare i i miei sentimenti, quindi non un luogo concreto, ma surreale, impercettibile, un ‘altrove’ appunto. La raccolta affronta uno dei temi più noti e cari ai poeti di ogni epoca: l’amore. Non è soltanto l’amore per la persona che si ha accanto, ma un amore più ampio, universale, che abbraccia il cosmo, le cose, la vita stessa. Le poesie sono a verso libero, prevalentemente brevi. Ho cercato di lavorare sulle immagini e sulla semplicità espressiva, mantenendo comunque una certa intensità. Gli elementi che regolano l’esistenza sulla terra non mancano, mi sono affidata alla natura, alla sua bellezza, all’energia che si muove nell’universo e le intuizioni del cuore hanno fatto il resto”.
C’è stato, ad oggi, un momento in cui, con lucida consapevolezza, ti sei sentita salvata dalla poesia?
Sin dall’inizio del mio percorso mi sono sentita salvata. Ho iniziato a scrivere dopo essere sopravvissuta ad un tragico incidente stradale, prima di allora non ero appassionata di poesia, né mi occupavo di scrittura, anzi erano realtà lontanissime da me. Ma la vita ci cambia, e la poesia è arrivata come un dono luminoso a stravolgere il corso degli eventi. Ho iniziato a scrivere e le poesie sono diventate tante, le ho poi pubblicate nel libro di esordio “Credo” uscito nel 2006. Mi sembrava tutto così strano e incomprensibile, ma passo dopo passo ho capito che dovevo apprendere, leggere la vera poesia, conoscere i grandi poeti del passato e farmi guidare da persone esperte del settore. Gli incontri sono stati fondamentali. Sono seguiti concorsi, riconoscimenti, eventi, altre pubblicazioni. Da allora non mi sono mai fermata, sono passati quattordici anni e credo di poter dire che la poesia mi ha permesso di capire meglio chi sono, ho avuto il privilegio di poter tornare in vita e di poterlo raccontare. Spesso diamo tutto per scontato, non ci rendiamo conto che abbiamo una grande opportunità e che esistere è qualcosa di meraviglioso. Va detto, ricordato, senza timori.
Ampliando la riflessione con uno sguardo ai poeti contemporanei: il “poemetto in prosa” potrebbe essere la scelta stilistica destinata a imporsi nel futuro?
In realtà non so cosa potrebbe imporsi nel futuro come scelta stilistica, sì, forse potrebbe accadere, ma non metterei freni di nessun genere alla libertà creativa dei poeti, qualunque sia la scelta, credo sia importante provare a capire cosa li ha portati a determinate realtà. Lo stupore, la ricerca, la sperimentazione sono essenziali. Ciò che ne verrà non potrà che essere il frutto di un percorso che racchiude in sé un cambiamento.
Qual è il ricordo (o un aneddoto) legato alla tua prima poesia?
Se ripenso alla mia prima poesia, teneramente sorrido, perché fu una poesia in rima baciata, oserei definirla elementare, ma la scrissi con tutta l’emozione di una ragazza innamorata che voleva in quel momento descrivere il proprio stato di giovane coinvolta emotivamente. A quell’età non poteva che essere così, ero molto timida e le parole scritte mi hanno aiutato a dichiararmi. Mi ha portato fortuna la poesia. E’ stato un amore grande, importante, che ha segnato profondamente la mia vita.
Quale (e per quali ragioni) poeta e relativi i versi non dovremmo mai dimenticare?
Una bella domanda. Ci sono diversi poeti che dovrei citare, ma ritengo che Salvatore Quasimodo con ‘Ed è subito sera’ meriti una particolare attenzione. In tre versi è riuscito a darci una visione concreta dell’esistenza: fugace e tormentata. Proprio il termine ‘ognuno’ rende la lirica universale, rivolta all’umanità. Prediligo l’essenzialità e non potevo che sceglierla tra le mie preferite.
“Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera”
Qual è la tua ‘attuale’ spiegazione/definizione di poesia?
Non è affatto semplice dare una definizione di poesia oggi. Per me è una forma di espressione che si basa sull’essenzialità e l’intensità. La considero materia raffinata, elevata, universale che deve arrivare nell’emotività del lettore, provocandogli una scossa, un sussulto. Ed è quella la scintilla che crea la poesia.
Oggigiorno, qual è (ammesso ne abbia uno) l’incarico della poesia?
La poesia forse non ha nemmeno bisogno di assumere un incarico, nasce per essere amata, ascoltata, compresa. Se dovessi darle un ruolo vorrei che fosse emanatrice di bellezza, verità, incanto, perché abbiamo bisogno ora più che mai di armonia, e la poesia porta equilibrio dentro e fuori.
Riporteresti una poesia o uno stralcio di testo (di altri autori) nel quale all’occorrenza ami rifugiarti, lasciarti confortare?
Mi piace rileggere i versi dei poeti che amo. Emily Dickinson rappresenta per me un approdo sicuro. Adoro il suo stile, il suo approccio alla poesia. M’incantano le sue immagini. In tanti anni di scrittura e lettura lei resta l’unica che riesce a sorprendermi, scuotermi fino in fondo.
“Portami il tramonto in una tazza –
conta le caraffe del mattino
e dimmi quante stillano rugiada –
dimmi fin dove si spinge il mattino –
e quando va a dormire il tessitore
che ha filato le vastità d’azzurro!”
Per concludere, ti invito, per salutare i nostri lettori a scegliere una tua poesia dal recente libro “L’istinto altrove” e, nel contempo, ti invito a portarci a ritroso nel tempo, a prima della stesura completa o della prima stesura, per raccontarci quanto “accaduto” così da permetterci di condividere (e meglio comprendere) il percorso che l’ha vista nascere?
Per salutare i lettori scelgo:
“Certi amori li porta il cielo
come acqua piovana nei pozzi.
Prendono il colore del sole
non si perdono al tramonto.
Io per te provo qualcosa
di più grande
che cresce quando la luce
inizia il suo respiro tra le cose.
Non mi spaventa il fatto
che abbiamo scelto di andare
a mettere radice
come una quercia secolare.
Certi amori hanno già nome
prima ancora che la vita possa accadere”.
Questa poesia è nata dopo una riflessione sugli amori che viviamo. Credo che certi incontri siano predestinati, servono a farci crescere, maturare. Quando ci innamoriamo ci trasformiamo: gli occhi hanno una luce nuova, tutto il corpo vibra. Ecco, certi amori arrivano e ci danno la possibilità di comprendere quanto siano uniche le esperienze che ci attraversano nel tempo.
(la versione ridotta di questa intervista a cura di Grazia Calanna, è apparsa sul quotidiano LA SICILIA del 26.07.2020, pagina Cultura, rubrica “Ridenti e Fuggitivi”).