tre domande, tre poesie
Luca Pizzolitto nasce a Torino il 12 febbraio 1980, città dove attualmente vive e lavora come educatore professionale. Da quasi vent’anni si interessa ed occupa di poesia. Nel 2008 vince il Premio Arezzo Poesia; nel 2014 si classifica primo al Concorso Letterario Internazionale Città di Moncalieri; nel 2019 vince il Premio Internazionale Città di Latina. I suoi ultimi libri pubblicati sono: L’allontanarsi delle cose (Ladolfi), Il silenzio necessario (Transeuropa), Dove non sono mai stato (Campanotto), Il tempo fertile della solitudine (Campanotto), Tornando a casa (Puntoacapo), La ragione della polvere (PeQuod, Rive).
Qual è o quale dovrebbe essere (dal tuo punto di vista) la lingua ideale della poesia, la forma quanto incide sull’essenzialità della parola poetica?
La parola, nella mia personale esperienza di ricerca e scrittura, sempre più nasce dal silenzio ed al silenzio, presto o tardi, ritorna. La parola poetica, nello specifico, per me deve essere nuda, essenziale, a tratti anche scarna, forse ostile. A fatica sopporto le eccedenze, gli orpelli, le ridondanze così spesso di moda, oggigiorno.
Non amo particolarmente quel tipo di poesia che conduce ad un territorio di comprensibilità riservato a pochi, un gruppo di privilegiati o simil tali in cui si fa a gara a chi risulta più snob a colpi di termini astrusi, di inverosimili contorsioni di metrica e forma. Nello stesso tempo, però, non mi soffermo nemmeno a leggere chi, all’estremo opposto, mette in atto una banalizzazione del linguaggio poetico, in nome di un non meglio definito ‘populismo letterario’ e, pur di essere letto da chiunque ed in qualunque circostanza, venderebbe per tremila lire sua madre a un nano.
La forma è importante, senz’altro, ed è uno dei punti cardine della mia ricerca. Da quando finisco di scrivere un libro a quando lo pubblico, passa più o meno un anno. Mesi e mesi di riletture molto frequenti, rifiniture, momenti in cui metto tutto da parte e poi riprendo, con lentezza, una per una, tutte le poesie che comporranno il libro. A volte scompaiono decine di testi, altre volte rimaneggio una poesia fino a quando non sento che ha raggiunto (o sta per raggiungere) la musicalità e la forza simbolica che, in quel momento, stavo cercando.
Riporteresti una poesia o uno stralcio di testo (di altri autori) nel quale all’occorrenza ami rifugiarti, rivelandoci cosa “muove” la tua “preferenza”?
Riporto uno stralcio di poesia, ed una poesia completa. Sono per me rifugio e consolazione, queste parole, sono un qualcosa che mi arriva dritto allo stomaco, al cuore.
È una sensazione simile al preciso straniamento che si prova quando qualcuno di altro da te riesce a dire in maniera perfetta ciò che tu senti, pensi, e non sai bene come esprimere.
Lo stralcio di poesia è di Fabio Pusterla; la poesia completa è di Giuseppe Ungaretti.
Quello che si può fare
È proteggere i luoghi inaccessibili.
Proteggere il silenzio con parole
Minime, rispettose, memorabili.
*
Eterno
Tra un fiore colto e l’altro donato
l’inesprimibile nulla.
Per concludere, ti invito, per salutare i nostri lettori, a riportare tre poesie dal tuo bellissimo “La ragione delle polvere” – perché questo titolo? -; di queste scegline una per condurci a ritroso nel tempo, a prima della stesura completa o della prima stesura, per raccontarci quanto “accaduto” così da permetterci di condividere (e meglio comprendere) il percorso che l’ha vista nascere.
La ragione della polvere ha avuto una storia abbastanza particolare, anomala quasi, rispetto ai libri che ho pubblicato in precedenza. La raccolta in sé ho finito di scriverla circa due anni e mezzo fa. Poi l’ho messa da parte, una cartella su Drive che ho lasciato lì per un po’, dedicandomi ad altro.
Dopo alcuni mesi, ho riaperto il file ed iniziato quel lavoro di rifinitura quasi ossessiva descritto in precedenza. Ho poi abbandonato nuovamente il tutto, perché non ero convinto quasi per nulla della piega che stava prendendo il lavoro. Passa altro tempo e mi rimetto di fronte ai testi, ora stampati su fogli A4: inizio a cancellare, tirare righe, ancora cancellare. Alla fine, per farla breve, sopravvivono circa 30 poesie delle 110 iniziali. Rimane anche il titolo, che ho sentito risuonare in me, fin da subito, con potenza. E da qui – dal titolo e dalle 30 poesie rimaste, riparto. E riscrivo, praticamente, l’intero libro (o quasi). La ragione della polvere è la prima di tre raccolte che, ad oggi, ho in parte scritto ed in parte, ancora, abitano solamente la mia testa. La prossima silloge sarà Crocevia dei cammini ed uscirà verso la fine di quest’anno. Il terzo libro, di cui per ora esiste solamente qualche poesia sparsa, risponde al nome di Quando tutto brucia.
Nella mia idea, queste tre raccolte troveranno una sorta di continuità non solo nelle tematiche affrontate (la caducità delle cose ne La ragione della polvere, il tema – variamente declinato – dell’incontro in Crocevia dei cammini, e la potenza abbandono in Quando tutto brucia) ma anche nella stampa vera e propria: ho incontrato, con questo mio ultimo libro, la realtà di peQuod, collana Rive.
Con Marco Monina, l’editore, c’è stato, fin da subito, un trovarsi sincero e puntuale.
Insomma, qui mi piacerebbe rimanere, fisicamente e in forma cartacea, ancora per un bel po’.
Nelle parole che non sono stato,
nelle promesse cacciate in gola,
nel farsi assenza di un tramonto,
nel sonno che prende la carne
e trattiene il profilo
di questi anni spezzati.
Nei volti persi nella vertigine
di dimenticanza in cui tutto crolla
e tutto seduce in uguale misura.
*
Mi cerco nelle profondità
sconosciute di me,
tra vestiti usati e amori dismessi,
posati quasi per caso accanto
alle fotografie di quando ero bambino.
*
Nei silenzi impossibili
nella bianca innocenza
di una preghiera sussurrata.
Tutto è instabile e arde,
arde d’amore.
Tutto cade inesorabile
e si fa nostalgia.