Nostos, ritorno alla parola
Rubrica a cura di Luca Pizzolitto
Ogni voce è persa e dagli occhi non arriva
grazia. Inospitale, il gelo ci fa dormire e ottunde
la profezia del verde. Tutto cade dall’alto
la pioggia lava, poi la neve imbianca
e fa di noi soldati che obbediscono contro cuore
alla trincea e già raccontare non sanno
la propria memoria.
Mentre l’inverno apparecchia sventure alle linfe
impariamo una nuova preghiera
e il congedo dai chiodi dell’estate.
La morchia della terra mescolata all’umore
l’innesto del sonno sul moto mercuriale dei corpi
la breve paga del riposo, ci annodano in un torpore
ingordo, che distanzia ogni amore di veglia.
Il glomere pulsa di fiamma e protezione
nel suo miracolo un delirio senza tregua
– ventre nero, dubbio di vita, antro in cui si scende
da cavatori in cerca di un rimedio
alla stagione
I campi sono nudi e i fiori, nel bavaglio del freddo
non chiamano da tempo.
Ogni promessa è rimandata e persino il cielo,
sempre fermo
persino lui ci lascia e va lontano, quasi crudele
va a cercare altrove, in altri deserti
la sua dolcezza.
È inverno, e lui sa farci piccole davvero
mentre la resurrezione è remota,
irreale
quanto la primavera.
*
Il buio è madre
tutto accade in un ventre.
La luce poi lo insidia
diventa così tanta
da chiudere gli occhi.
Sotto le palpebre restano scintille
ronzanti come sciami.
Tu puoi lottare per tenerla fuori
ma è luce che t’insegue
ovunque
più invadente dell’erba
a primavera, più sfrontata dell’ozio
che divora il gesto,
più assidua del malanno
nel tentare la ferita.
E quando penetra nell’alveare
imbratta il nero
lo trafigge.
Carezza un brulichio di affanni
una fatica che brucia
come sale.
Lo sentite?
Sentite anche voi là dentro
il rumore delle vite?
Ognuna che lavora, vuole, rinuncia,
edifica e distrugge
uccide
e poi alleva.
*
L’Architetto
Credo ai distruttori – al loro connaturato
ingegno, dipende da essi
il rinnovarsi della terra.
Il mondo si sbilancerebbe, senza l’assillo
del tarlo o il bradisismo dei vulcani
senza l’infierire del piccone
o l’erosione delle correnti
– che mutano in residuo la pietra.
Non potrei costruire
se un’altra forza non agisse contraria
regredendo all’abbozzo
facendo un fossile di ciò che è vivo.
Né potrei sollevare quel che
– derivando dalla polvere –
ne ha nostalgia di ritorno.
Sostanza è un organismo insondabile
meticciato di fatica, spasimo, prigionia.
Ciò che possiede una forma avrà anche un compito
la funzione produrrà sfinimento
e questo guadagnerà l’asfissia d’una segreta.
Edificare con questo materiale
è come affidarsi alla paglia
e in segreto temerne il bruciore.
Si potrà andare superbi per l’edificato
presentendo l’esatto luogo in cui l’elemento
comincia a dormire
o a morire?
Creazione è un precipitarsi alla rovina
è turbamento, ma perché la materia ci confonda
in profondità deve averla affollata
lo spirito.
Io, creatura della costruzione – mentre riempio vuoti
o misuro perimetri, mentre disegno l’esagono perfetto
in cui lo spazio non si pieghi al sacrificio
ma all’utilità – la maneggio cautamente
ricordando che ogni asilo
cauterizza il vagabondaggio
e che credere in una casa significa
ipotizzare Dio.
*
La Ventilatrice
So lottare contro il gelo e la febbre
– so riconoscerli.
Intuisco l’istante in cui la tiepida linea natale
si ghiaccia o prevengo la picchiata del sole sugli usci
medicati dalle ante.
Contraria a ogni ciclo celeste
preservo la costanza col clamore delle ali
che nulla muti – non un grano, non un grado
in questo regno dell’opera.
Il carattere di ogni stagione sa aggredire
io stessa – come polvere scoperta – mi dibatterei
nel tormento del chiaro, se non facessi nodo
con la moltitudine che mi oscura,
se non governassi gli eccessi
del tempo eccedendo in fatica.
Nella festa della casa – chicco d’incenso –
mi consumo su braci di fortuna
e sparisco in silenzio
nel bisogno di altri regni e vastità impossibili.
Dire non puoi la morte
a chi ami
puoi cambiarle nome
dire forse: attesa.
Immaginare un cielo primitivo
contro lo spazio sacrificale
di questa eclisse.
Era il bene a uccidermi
– era la stagione.
*
Ma noi danziamo nel sole,
riproduciamo tracce del ritorno
geografie di fiori e sorgenti.
Nell’infinito morire
consumiamo il tempo
e lo lasciamo vivo.
poesie da Elisa Ruotolo, Alveare (Crocetti, 2023)
Elisa Ruotolo, nella foto di Mauro Zorer, scrittrice e poetessa, è nata a Santa Maria a Vico (Ce). Con l’editore nottetempo ha pubblicato nel 2010 il libro d’esordio, la raccolta di racconti Ho rubato la pioggia, e nel 2014 il romanzo Ovunque, proteggici (riedito da Feltrinelli nel 2021). Il suo primo testo per ragazzi è Una grazia di cui disfarsi. Antonia Pozzi, il dono della vita alle parole (RueBallu, 2018), cui fanno seguito la curatela del volume Mia vita cara. Cento poesie d’amore e silenzio di Antonia Pozzi (Interno Poesia), e la raccolta poetica Corpo di pane (nottetempo). Pubblicazioni recenti: il romanzo Quel luogo a me proibito (Feltrinelli, 2021), la favola filosofica Il lungo inverno di Ugo Singer (Bompiani, 2023), la novella Luce (Tetra-, 2023). Alveare (Crocetti, 2023) è il suo secondo testo poetico.
la foto in copertina è di Marek Pickwiniki