Oltre il varco di notte

Mark Rothko, Blue and gray ok
Mark Rothko, Blue and gray



Ah santo cielo, certe cose non dovrebbero accadere: rientro immediatamente!
Intanto: Sirio s’accostava fulminante e il carro sempre a nord. Calcolare la notte. Per ripartire dove tu ti trovi, ma temo per la rotta. Per quanto sarà stabile? Se c’è stabilità nel dove d’altro.
Nell’insicurezza generale, tutto sembra sicuro e l’inganno travalica i confini diffondendo apparenze. L’inattuale domina e l’assurdo s’annida nelle ore, oltre il visibile. Tu mi scrivi di cose che non so riconoscere e temo di incontrare sul tuo volto quando raggiungerò la tua distanza.
Prima che fosse, spostavo frasi lungo gli orizzonti. Mi vestivo di luna per travasare suoni di granelli quando il vento diffonde. La sabbia ha un moto lungo di tristezza: intermittente senza interruzione. Sfolgorante, sembra tuttavia vuota. In realtà, passi dovunque di creature spente aduse agli intervalli della notte: escono quando è ombra. Esse non sanno leggere la luna ma alla sua luce i granelli riflettono parole come forme di stelle. Inseguivo le tracce.
Mi ricordo i capelli, fulgide trasparenti dimensioni instabili di vento. L’agitazione che sempre m’inducevano; l’impossibilità di toccarli nel vasto dell’assenza scompigliante. Le voci del tuo viso, le allusioni, i ritrovi e l’impensabile che ti socchiude gli occhi. Mi ricordo: temo di ricordare.
Ricordo i fazzoletti stesi altrove, senza finestre messe ad asciugare. Probabile l’immensa diffusione, senza alcuna certezza. Questo mi dava scampo e le parole fluivano senza intralcio di tempo da un lontano impossibile attuale dove la lingua nasce.
Tu mi scrivevi frusci dove mettevo note senza dire. Era bianco il silenzio.
Il violino dell’alba tramutava il non colore in strisce. Era tiepido, quando ti accosti.
Un filo lungo di allontanamento. Ora in vista del mare.
Ho dato ordine alla prua di staccarsi dall’onda, alla fretta di spingere, al vento di gonfiare vele e gabbiani al traino. Ho dato ordine alla morte di morire ed alla mia paura di nuotare lungo le forme dell’immaginare. Ordino l’impossibile e la notte, che copre il mondo e annulla dimensioni di distanza e alla follia di lasciarmi sfuggire dai vincoli spasmodici del vago dove tu non esisti ed io collasso.
Se occorrerà. ordinerò alla vita di lasciarmi. E al dubbio: se passo il ponte e sfuggo l’estremità dell’ombra della terra, cosa mi garantisce di trovarti tra i flussi scoraggianti delle anime smesse? Ti rendi conto? Miliardi, tutto il tempo del tempo. Dunque, dove? E soprattutto chi, se esiste un chi. O un indistinto unico, teso come la vita senza forma, quando la forma sfugge e il non ancora? O il trascorso, dove non c’è più nulla. Ah, anima! Io non ho modo di liberazione e tu scompari.
Tracannavo nel tempo le bottiglie dei tuoi messaggi spersi. Distraevo la furia di una tempesta al largo ammassando invenzioni. Quella s’accosta umida. Siede. Ascolta le storie dei tuoi anni, chiusi tra terre ignote dove strisciano pesci senza branchie. E le impronte nel fango.
Tu lasci segni, mentre ancora ti seguo. Siamo rimasti in pochi, amore mio. Per questo accade.
Notte divampa ad est; luna cangiante. C’è una fontana nella notte fonda. Squarcia: campi di luce dove ti incateno per leggere di te senza parole. Restare in vista.
Poi ripassavo vecchie poesie scritte nell’avventura della lingua. Erano forme di divinazione: tutto il vago del mondo.
Vagami. E invia congiunzioni delle stelle per tenermi informato. Quando sarà, fermati al bordo estremo. Io mi tendo nel varco.

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