Questa è la luce della mente, fredda e planetaria. (Sylvia Plath)

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Colette W. Davis

rubrica Dove finisce l’erba e comincia il mare.

 

Questa è la luce della mente, fredda e planetaria.
Gli alberi della mente sono neri. La luce è azzurra.
Le erbe mi riversano sui piedi le loro angosce come se fossi Dio,
pungendomi le caviglie e mormorando la loro umiltà.
Brume fumose, spiritali, abitano questo luogo
che una fila di lapidi separa dalla mia casa.
Non vedo proprio dove si possa andare.
La luna non è una porta. È una vera faccia,
bianca come una nocca e stravolta.
Si trascina dietro il mare come un delitto oscuro, è silenziosa,
la bocca fissa nell’O della disperazione. Io vivo qui.
La domenica le campane per due volte fanno trasalire il cielo –
otto grandi lingue che affermano la Resurrezione.
Alla fine rintoccano sobriamente i loro nomi.
Il tasso indica l’alto. Ha una forma gotica.
Gli occhi lo seguono e trovano la luna.
La luna è mia madre. Non è dolce come Maria.
Le sue vesti azzurre sprigionano pipistrelli e gufi.
Come vorrei credere nella tenerezza –
Il volto dell’effigie, addolcito dalle candele,
che china, proprio su di me, gli occhi soavi.
Sono caduta lontano. Le nuvole fioriscono
azzurre e mistiche sul volto delle stelle.
Dentro la chiesa, i santi saranno tutti azzurri,
fluttuanti su piedi delicati sopra i banchi freddi,
le mani e i volti rigidi di santità.
La luna non vede nulla di tutto questo. È calva e forsennata.
E il messaggio del tasso è il nero – il nero e il silenzio.

(Sylvia Plath, 22 ottobre 1961)

da Ariel, in I capolavori di Sylvia Plath,
traduzione di Anna Ravano, Mondadori, Milano, 2004

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