scuola 2

Il trattato di Lisbona, sottoscritto dai paesi aderenti all’Unione europea, ha sancito alcuni standard relativi al superamento dei livelli medi in literacy (capacità di lettura), matematica e scienze degli studenti. L’indagine internazionale Ocse Pisa si occupa della somministrazione di prove oggettive (in questo caso ben più veritiere e autorevoli delle prove Invalsi), a dei campioni di scuole appartenenti a più di settanta paesi nel mondo. Il percorso dell’Italia si pone come vero e proprio calvario, testimone della condizione stantia e logora della scuola e della didattica del Bel Paese. I campioni di prove sottoposti a licei, istituti tecnici e professionali dimostrano indiscutibilmente il gap venutosi a creare, non solo tra un dato indirizzo scolastico e un altro, ma anche tra regioni geografiche e gradi didattici. Proprio quest’ultimo punto sembrerebbe quello di maggiore interesse. Come spiegare, infatti, l’inquietante divario di rendimento tra studenti italiani della scuola elementare (che in indagini internazionali viaggiano tra il quarto e il quinto posto per capacità di lettura e scrittura) e connazionali quindicenni nettamente al di sotto della media Ocse e lontanissimi dagli standard di Lisbona? Che cosa accade concretamente nella scuola italiana tra le elementari e la scuola secondaria di secondo grado? Quale può essere l’elemento di involuzione tra i dieci e i quindici anni? Forse un sistema scolastico che non è in grado di individuare e potenziare le eccellenze o di cogliere e colmare le lacune con interventi didattici mirati. O forse, molto più semplicemente, una scuola che non pone come obiettivo primo e ultimo del proprio percorso di insegnamento cognitivo, educativo e relazionale quella medietà cui si riferiva saggiamente Aristotele. Un livello medio che, lungi dall’appiattire in modo acritico e amorfo tutte le individualità, porta le nuove generazioni a un buon grado di conoscenza globale, tenendo ferme le eccellenze che in ogni caso continueranno a emergere naturalmente, ma che per forza di cose non saranno mai in condizione, da sole, di trainare un popolo verso il superamento di spaventose soglie di ignoranza e analfabetismo. Il risultato della Finlandia, prima nazione della macro area europea in Pisa, i cui ragazzi fanno il loro ingresso a scuola all’età di sette anni, dovrebbe aprirci gli occhi e dimostrarci che non è certo il fatto che un bambino “guadagni” un anno con la primina a garantire concretamente il suo successo futuro, quanto piuttosto la necessaria revisione di un percorso che, servendosi di metodologie didattiche ormai superate, perde di vista anche l’importante ruolo del raggiungimento degli obiettivi futuri.

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