Salvatore Annunziata, “dello stesso amore”, in versi le sfumature di quella reale “convinzione”.

tre domande, tre poesie

 

Salvatore Annunziata nasce nel 1981 a Pompei (NA), dove vive e risiede. Nel 2010 pubblica la raccolta “Mondo parallelo” (Grauseditore), che viene premiata da diverse giurie di vari concorsi, soprattutto per il testo “Auschwitz” contenuto nella raccolta, motivo per cui viene invitato da vari istituti scolastici campani per il giorno della commemorazione dedicato all’Olocausto. Nel 2013 pubblica la raccolta di poesie d’amore “Dello stesso amore” (Grauseditore). La raccolta viene premiata dalla giuria del concorso “Don Luigi di Liegro” presieduta, nell’edizione del 2015, dai poeti Dante Maffia e Renato Fiorito. Più volte tra i premiati dalla giuria del concorso “Premio Alda Merini”, ideato da Vincenzo Ursini Editore.  I suoi testi sono stati pubblicati in varie antologie, tra le quali “I poeti contemporanei Vol. 12” (Ed. Pagine) curata dal poeta Elio Pecora, e sul noto sito Rainews – Il primo blog di poesia della Rai, ideato e curato dalla poetessa e giornalista Luigia SorrentinoNel 2020 alcuni testi editi e inediti sono stati pubblicati all’interno della rubrica “Bottega della poesia” del quotidiano “La Repubblica” di Napoli, a cura del poeta e critico letterario Eugenio Lucrezi; e di Roma, a cura della poetessa e critica letteraria Gilda Policastro. Alcuni testi sono stati interpretati per video poesie dall’attore partenopeo di teatro Gianni Caputo e dall’Artista poliedrico Sergio Carlacchiani. Sono recenti le pubblicazioni dei testi “Alberi d’inverno e “Sei tu il mondo”, tratti dalle raccolte pubblicate, sul sito “Centro Cultural Tina Modotti”, nella traduzione in spagnolo a cura del poeta Antonio Nazzaro. Altri testi inediti sono stati pubblicati recentemente sulla rivista letteraria on line “La locomotiva – Quaderno di poesia”.

In che modo la (tua) vita diventa linguaggio, qual è stata la scintilla che ha portato il tuo “dello stesso amore”?

É difficile evitare la retorica davanti ad una domanda come questa. Posso dire, però, che la (mia) vita diventa linguaggio quando sento dentro “un’urgenza”, che è, poi, l’urgenza della parola. Ciò che mi viene in mente, inoltre, leggendo e rileggendo la domanda, è me stesso, bambino/ragazzino, intento a scrivere versi, senza sapere neppure che esistesse la poesia. Per anni ho pensato, con convinzione, che fossi io a “coltivare” la poesia, per poi accorgermi, solo in età adulta, che forse (e sottolineo, forse), in realtà, può essere vero anche l’esatto contrario, e cioè che è la poesia ad avermi coltivato e, quindi, a coltivarci. Si, nel senso che la poesia, la parola, entra ed esce da noi, modificandoci irrimediabilmente. La poesia è, a mio avviso, spontaneità della parola, della parola “libera” da preconcetti e luoghi comuni, è testimone di ciò che entra in noi, nel nostro inconscio, e credo valga per tutti gli autori. Nella nostra interiorità c’è qualcosa che è altro dal pensiero razionale, ma di questo ne siamo tutti già a conoscenza : la famosissima frase “Io è un altro” del grande A. Rimbaud, aveva espresso bene il concetto già qualche secolo fa. Quindi, inconsciamente, spontaneamente, la (mia) vita diventa linguaggio. E così è stato anche per la raccolta “Dello stesso amore”, che è una silloge di poesie d’amore, scritte poco dopo l’incontro con la donna che è diventata poi mia moglie. Solo dopo averlo scritto mi sono reso conto che, oltre che dal sentimento reale, le poesie erano accomunate dall’intenzione di voler mettere in risalto i vari aspetti dell’uomo mentre ama. Il libro, quindi, non vuole dare eco soltanto all’amore e all’oggetto amato (“e la sua conseguente sopravvalutazione”, citando Freud), bensì a tutte le fragilità, le paure, i dubbi di una persona mentre ama, con le sue debolezze, i momenti di dolcezza e anche le proprie banalità. E, infine, a quel senso di assoluto che ognuno (almeno una volta nella vita) ha provato, amando davvero qualcuno.
La finità della vita, i propri vuoti, le proprie pene, tutto assume un significato diverso nel momento in cui amiamo.
Un “ti amo da morire”, visto da fuori, sembra una frase esagerata, eppure chi la pronuncia ne è realmente convinto. Ecco, io ho voluto (e spero di esserci riuscito) mettere in versi le sfumature di quella reale convinzione, tra l’altro sperimentata sulla mia pelle.

 Riporteresti una poesia (di altro autore) nel quale all’occorrenza ami rifugiarti, rivelandoci cosa “muove” la tua “preferenza”?

“Soldati” di G. Ungaretti.
“Si sta / come d’autunno / sugli alberi / le foglie.”
Ci tengo subito a precisare che il motivo per cui amo maggiormente questa poesia rispetto ad altre, anche di altri autori, non risiede nel fatto che sia stata scritta durante una guerra.
Il motivo è che questa poesia mi ricorda tutte le volte che tutto è precario. La nostra stessa vita lo è, ogni giorno.
La rileggo perché ricordare, ogni tanto, la precarietà dell’esistenza mi “riporta” a ridimensionare il tutto, i problemi o ciò che ritengo essere tali, e questo mi porta a spostare di nuovo lo sguardo sulla bellezza della vita, su ciò che realmente conta nella vita.

Per concludere, ti invito, per salutare i nostri lettori, a riportare tre poesie dal tuo libro, “Dello stesso amore”; di queste scegline una per condurci a ritroso nel tempo, a prima della stesura completa o della prima stesura, per raccontarci quanto “accaduto” così da permetterci di condividere (e meglio comprendere) il percorso che l’ha vista nascere.

In un abbraccio

Al riparo dall’incuranza
di tutte le stagioni
e la collera sui vetri
di un incessante temporale,
non ci tocca
ora
il tempo
e il ritorno delle ombre deformate.

Io e te,
volto disteso
che ride a singhiozzi
davanti alla serietà
della tristezza
e alla derisione malinconica
degli scettici seduti

Io e te,
quando siamo l’uno
dentro l’altro,
come se la nostra passione
altro non fosse
che un grido di rabbia
contro questa vita
per averci concesso
solo questa vita.

Quando sono tra la gente

Quando sono tra la gente
e osservo una donna che non sei tu,
una donna estranea,
mi chiedo se un giorno
io potessi essere
estraneo a questo giorno
dove io ti amo.
Quando sono tra la gente
che si odia e non si divide,
per solitudine
o per mancanza di coraggio,
trema la mia vita
nel pensarti
un giorno
estranea a questa notte
dove tu mi ami:
queste paure
vengono a trovare
le mie ore
ovunque sono.

Per un attimo

I miei giorni
non avevano passato
e tra un tramonto e l’altro
non cercavo più
lune sempre diverse.

Non attendevo stagioni
al varco del tempo
e le mie malinconie
non correvano più
per rifugiarsi nei portoni.

Sentivo il mondo
con l’universo tutto
non esistere più:
era tutto lì,
in te.

La poesia che scelgo è “In un abbraccio”, che è uno dei primi testi che ho scritto. È stato, e rimarrà sempre, il testo della raccolta a cui sono più legato. La prima strofa rimanda ad una situazione reale: una sera, un temporale, due persone. La seconda rimanda allo scetticismo che a volte ho constatato in alcune persone nei confronti di chi si ama. E la terza rimanda alla passione, alla felicità che, quando la si prova, ti porta a pensare che sia davvero poco avere solo una vita. 

La foto è di Cristina D’Aniello. La copertina del libro è di Carmine Calabrese.

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